Basket, Gherardini: «Rimpiango ancora la Coppa persa con la Benetton nel ‘93»

Il manager ha conquistato l’ultima Eurolega con il Fenerbahce, mettendo in bacheca il trofeo numero 30: «Vincere non stanca però spesso ci si ricorda di più ciò che si è solo sfiorato»

Silvano Focarelli
Maurizio Gherardini abbraccia Šarūnas Jasikevičius, coach del Fenerbahce, dopo aver conquistato l'Eurolega 2025
Maurizio Gherardini abbraccia Šarūnas Jasikevičius, coach del Fenerbahce, dopo aver conquistato l'Eurolega 2025

Vincere aiuta a vincere. Ne dà ampia conferma un signore che, fra Treviso e Istanbul, finora ha portato a casa trenta trofei. Maurizio Gherardini, il top manager della pallacanestro europea dell'ultimo trentennio (senza contare la sua esperienza in Nba), si sta godendo qualche giorno di relax a Treviso, dove ha famiglia, naturalmente seguendo a distanza i playoff turchi del suo Fenerbahçe e non perdendo di vista l'adidas EuroCamp, altra sua creatura prediletta in Ghirada.

Appena poche settimane fa la bacheca di casa si è arricchita della seconda Eurolega col Fener: è forse questo il titolo più importante?

«Classificare le emozioni è difficile, posso dire che ognuna di esse è irripetibile. Naturalmente il primo scudetto e la prima Coppa si ricordano meglio di altri, ma ad esempio io non potrò mai dimenticare quella che ho perso con la Benetton nel 1993 ad Atene con il Limoges. Lo stesso mi ha detto, al Gala Dinner dell'Eurolega di Abu Dhabi, Toni Kukoc. Vincere non stanca però spesso ci si ricorda di più ciò che si è solo sfiorato. Da allora ho collezionato presenze alle Final Four anche se ho dovuto attendere il 2017 con campioni come Datome, Sloukas, Bogdanovich, uno squadrone irripetibile, per vincere. Ma l'anno prima la perdemmo all'overtime con il CSKA allo scadere per un fischio di cui ancor oggi non mi capacito, più o meno come quel fallo non fischiato a Kukoc ad Atene. A conferma di come certe sconfitte siano indelebili».

La storia dell'Eurolega è fatta di squadroni, di campioni, di giocate spettacolari. Ma anche di adattamenti che compensano gravi problemi. Ne sa qualcosa proprio il suo Fener campione?

«Siamo stati bravi a gestire l'emergenza. Scott Wilbekin, giocatore fondamentale, s'è rotto il crociato ad inizio stagione; Wade Baldwin è stato fuori tre dei primi quattro mesi, senza parlare del settore lunghi. Nell'emergenza ci siamo affidati a Melli, Hall e a Errick McCollum, un trentottenne d'esperienza. Anche per questo si è festeggiato a lungo, già in aeroporto dove nonostante la pioggia i pompieri non hanno rinunciato ad annaffiarci con gli idranti. L'eco è così vasta che ai playoff il Turk Telekom ha omaggiato il Fener con uno striscione».

Passando a Treviso, l'Eurocamp ha visto la consueta parata di aspiranti stelle, Saliou Niang è stato proclamato miglior difensore della rassegna e Momo Faye è stato incluso nel miglior quintetto. L'evento marchiato adidas è una piacevole conferma, mentre TvB fatica ad affermarsi.

«L'importante è mantenere Treviso sulla mappa del basket mondiale. Da ventitré anni viene proposto un evento con nomi incredibili. In molti vorrebbero replicarlo o portarlo altrove, invece si resiste. Mi sento trevigiano e ho un bel rapporto affettivo con diverse persone, a cominciare dal presidente di Treviso Basket Matteo Contento e, prima di lui, Paolo Vazzoler, Giovanni Favaro, Carlo Zanatta. Non entro in dinamiche più specifiche, oggi sono un tifoso che ogni tanto vede le partite al Palaverde».

Cosa pensa delle contestazioni della tifoseria di TvB?

«Si pensi solo che a Toronto la società più importante non sono i Raptors ma quella di hockey, i Maple Leafs, che ha una lista d'attesa chilometrica per assistere alle gare di una squadra che non vince il titolo dal 1967. A Istanbul ho fatto sette Final Four in undici anni, qualcuno era deluso quando mancammo la qualificazione ma io dico sempre che quel traguardo aggiunge qualità alla stagione. Il tifoso trevigiano non deve far paragoni con la storia passata, alla Benetton abbiamo avuto la fortuna di vivere un ciclo incredibile e irripetibile. Oggi c'è una nuova realtà che cerca di crescere con parametri completamente diversi. Non è facile restare a un certo livello e crescere. E in tutto ciò la squadra deve essere sempre e comunque supportata».

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