Giorno della memoria a Treviso: a Monigo i prigionieri delle colonie

Treviso. Nuove scoperte sulla storia del campo di concentramento di Treviso. Sabato un convegno ai Trecento

TREVISO. Non smette di raccontarci nuovi dettagli sulla nostra storia, la ricerca sul campo di concentramento di Monigo, portata avanti con determinazione dall’Istresco e in particolare dalla storica Francesca Meneghetti alla quale si deve uno studio articolato sul tema ed un volume – “Di là del muro. Il campo di concentramento di Treviso” (Istresco, 2012) – su quel luogo di prigionia, frutto della vergogna della guerra e del razzismo che incarnò l’ideologia fascista e nazista.

Ora sappiamo che nella primavera del ’43 una parte della caserma Cadorin fu adibita a campo per prigionieri di guerra sudafricani e neozelandesi, appartenenti dunque all’area del Commonwealth britannico, catturati durante la conquista coloniale della Libia.

Le nuove acquisizioni storiche saranno al centro del convegno in programma per sabato 27 a Palazzo dei Trecento (ore 17,30), nell’ambito del programma di iniziative a cura dell’Istresco di Treviso per la Giornata della Memoria, quest’anno incentrato sul filone del razzismo coloniale.

Dopo il saluto del sindaco Giovanni Manildo, ci sarà un’introduzione della direttrice Istresco Irene Bolzon, e interventi di Francesca Meneghetti, del giornalista Ivo Jevnikar, di Boris Gombac, storico, e di Metka Gombac dell’Archivio Storico di Lubiana.

«Dopo la pubblicazione del libro sono emersi altri elementi di conoscenza - anticipa Francesca Meneghetti - momento decisivo per arrivare a queste nuove acquisizioni è stata la visita a Treviso, tempo fa, dell’ex giudice sudafricano Arno Faber che raccontò che il padre fu prigioniero di guerra qui. Grazie anche alle ricerche portate avanti da Lucio De Bortoli e da Lorenzo Capovilla, unite a lavoro d’archivio, emerge quindi questo nuovo aspetto del campo di concentramento di Monigo nel quale furono rinchiusi, dopo il 1943, anche sudafricani e neozelandesi catturati a Tobruk e smistati in Italia. Una parte di questi prigionieri finì all’ex caserma Cadorin, al campo PM120». Tassello dopo tassello, anche il puzzle che racconta la storia del campo di concentramento di Treviso, consegnata all’oblio fino ad anni recenti, si ricompone.

Ma richiede un lavoro paziente di scavo e ricomposizione di dati d’archivio e preziose testimonianze, come quella del sudafricano Arno Faber che ha permesso agli storici di arricchire le conoscenze su quel che avvenne nel campo situato alle porte del centro storico di Treviso. «Adesso sappiamo - aggiunge Meneghetti - che la stessa struttura era adibita a un doppio uso». Entrato in funzione il 1 luglio 1942 per rinchiudere civili sloveni e croati, dopo i rastrellamenti nei territori occupati nella ex Jugoslavia, il campo restò pienamente attivo fino all’annuncio dell’armistizio tra l’Italia e le potenze alleate.

Sappiamo che la caserma fu a perodi sovraffollata e che almeno 200 furono le vittime per fame, freddo e malattia (molto potè la tubercolosi), 53 delle quali erano bambini sotto i dieci anni. Nella primavera del ’43, mentre il campo di svuotava dei cosiddetti “repressivi” (cioè i filo partigiani) una sezione fu adibita, appunto, ai prigionieri di guerra che dopo l’8 settembre – quando ancora vi erano presenti oltre duemila persone – furono in parte accolti dalle famiglie contadine dei dintorni. Una parte entrò nella brigata partigiana Italia Libera Archeson: alcuni perirono nel rastrellamento del Grappa del ’44. Contemporaneamente, alla fine della guerra, Monigo divenne campo profughi per i soldati di ritorno dai campi di prigionia in Germania e per gli sfollati in arrivo dall’est. Ora sappiamo che vi transitarono qualcosa come 20mila persone.
 

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