«Voglio guardare negli occhi l’uomo nero»

Anna - chiamatela così, con un nome di fantasia - chiede il suo avvocato Aloma Piazza, oggi avrebbe avuto un esame all’Università. Il quart’ultimo prima della laurea. Lo ha rinviato perché c’era un’altra priorità, c’era il processo contro Zuluaga. Lo stupratore era in aula, il suo difensore no, immobilizzato da una lombosciatalgia che ha imposto il rinvio del processo al 26 giugno.
Lo slittamento di una settimana - «legittimo impedimento» in termini giuridici - può sembrare poca cosa per chi il dramma lo vive dall’esterno. Non per Anna. Per lei, come ha spiegato il suo avvocato, è «un altro sogno infranto». Il sogno di chiudere, con una sentenza rapida e giusta, la vicenda giudiziaria. Almeno quella. Perché il resto - il dolore e il ricordo, la paura e l’incubo - tutto il resto insomma, rimarrà aperto ancora per molto. Probabilmente per sempre.
Sono tanti i sogni infranti di Anna. C’è un percorso universitario che non è andato come doveva. «A quest’ora sarebbe già alla laurea», dicono i familiari. Lei in realtà ci è vicinissima, le mancano solo quattro esami, ma l’obiettivo che si proponeva è saltato.
Saltato anche il progetto Erasmus, il periodo di studi all’estero che moltissimi ragazzi scelgono: «Ci ha rinunciato, ha paura», spiega l’avvocato. Paura di girare da sola, terrore che, come quella mattina di ottobre, il male spunti all’improvviso senza lasciare scampo e senza lasciare difese. Eppure Anna, vestitino leggero e sguardo pulito, appare una ragazza forte. «Sembra», puntualizza il suo avvocato «sembra, ma non ha ancora metabolizzato. Il fatto è che le è cambiata la vita». Certo è che la giovane, per la seconda volta, ha deciso di affrontare «l’uomo nero», perché questo è per lei Zuluaga. Lo ha fatto presentandosi in aula come era già successo in un precedente processo per stupro a carico dell’uomo, con una vittima diversa. Andare al processo: così le ha consigliato di fare la psicologa, così ha voluto fare lei. «Voglio guardarlo negli occhi», ha spiegato la ragazza ai suoi genitori e ai suoi amici. E così è stato ieri mattina. Anna lo ha guardato per pochi istanti ed è scesa giù, giù nel profondo del suo incubo. Ora, solo ora, è cominciata la risalita. La studentessa si è seduta nel primo banco dell’aula A, di fronte al giudice Silvio Maras. Zuluaga si è afflosciato sul banco degli imputati, addossato alla parete e circondato dalle guardie penitenziarie. Fuori dall’aula i genitori di Anna, ma non solo loro. C’erano anche alcuni residenti di via Dandolo. Venuti per curiosità e per solidarietà. «Volevo vederlo, quello», afferma uno di loro «voglio che gli diano una pena severa. Dovrebbero spezzargli le ginocchia a quello, deve soffrire anche lui, a lungo. Come ha fatto soffrire». C’è delusione quando la porta dell’aula si apre (l’udienza era a porte chiuse) e la notizia del rinvio del processo viene ufficializzata. Anna ha rinunciato al suo esame universitario per essere lì in aula, ed è stato tutto inutile sospirano i familiari. O forse no. Forse quello che la ragazza ha dimostrato e insegnato ieri mattina con il suo dolore composto, le sue paure mai nascoste, ma anche la sua determinazione nel vincerle, forse quello è stato l’esame più importante. Una lezione di vita. Per tutti. (s.t.)
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