Violenza sulle donne: a Treviso in 124 hanno chiesto aiuto

Il centro antiviolenza di Treviso: 108 sono italiane, metà dei casi denunciati coinvolge minori

TREVISO. Da gennaio a ottobre sono state ben 124 le donne che hanno bussato alla porta del centro antiviolenza di Treviso per cercare aiuto, chiedere consigli, parlare. Colloqui dietro i quali si celavano violenze, fisiche ma anche psicologiche.

Volessimo fare una stima sommaria paragonando casi e tempo si potrebbe ipotizzare la statistica sommaria: quasi una donna maltrattata ogni due giorni. Ma sarebbe sbagliata, perché irrimediabilmente non terrebbe conto del “fattore silenzio”, quello che ancor oggi cela dietro la porta di casa la sofferenza di mogli, compagne, perfino madri che non trovano il coraggio di denunciare i soprusi dell’uomo.

Basti pensare poi che tra le 124 donne che si sono rivolte al centro antiviolenza di via Roma, a Treviso, la stragrande maggioranza (108) è italiana, e nella minoranza non ci sono casi di donne romene – nazionalità che rappresenta il 22% dell’immigrazione provinciale e tra le tre nazionalità di maggior residenzialità nel Comune – né donne cinesi, nigeriane, kosovare o bengalesi, ovvero “quote rosa” delle principali nazionalità immigrate a Treviso e nella Marca. «L’ignoranza delle leggi, delle tutele, delle garanzie che vengono attivate alle donne vittima di soprusi e violenza è lo scoglio fondamentale che spesso ci troviamo davanti», spiegano dal centro antiviolenza di Treviso, «c’è chi subisce perché è convinta non ci sia modo di uscire dal tunnel, chi pensa di non avere alternative perché magari non ha lavoro, è irregolare, ha figli. Immaginate voi, in questa situazione, quanto grande possa essere il sommerso».

Far emergere il problema. Arrivare a suonare il campanello di via Roma non è facile, presuppone spesso ci sia già stato un momento di consapevolezza forte, o almeno l’aiuto e il consiglio da parte di familiari o amici. Poi inizia la parte più difficile, quella durante la quale le volontarie del centro cercano di instaurare un dialogo utile. A cosa? «A lanciare il gancio giusto per far capire alla persona che abbiamo davanti che quello che sta vivendo non solo non è giusto, ma può e deve cambiare». Solo allora si può davvero iniziare il percorso per uscire dalla schiavitù e riemergere come persona e come donna.

Le difficoltà sono molteplici perché molteplici sono le tipologie di sofferenza patita da chi trova il coraggio di parlare. Gran parte delle donne che da gennaio hanno raccontato la loro verità ha descritto botte di ogni genere, ma non è stata questa la maggioranza dei soprusi. La maggior parte si ascrive infatti alla sfera psicologica e si traduce in sottomissione fisica e mentale, timore, dipendenza. Poi c’è la violenza familiare e anche quella economica.

Elemento purtroppo sempre più ricorrente è la presenza di bambini, anche piccolissimi, involontari testimoni della violenza. Nel 45% dei casi denunciati a Treviso, le donne hanno infatti ammesso la presenza di casa di bambini tra uno e 3 anni.

Il dato Veneto. Ma Treviso non fa caso a sé. Purtroppo la violenza sulle donne, di ogni tipo e gravità, è un fenomeno comune. Questo dicono i dati raccolti dal “Coordinamento Iris” di cui fanno parte i centri di Belluno, Verona, Treviso, Mestre, Vicenza, Bassano e Padova. A partire dal primo gennaio al 31 ottobre 2017 il coordinamento veneto ha infatti ascoltato e accolto nei suoi 13 centri antiviolenza le richieste d’aiuto di 1.471 donne, di cui 350 di nazionalità straniera. Molte di loro hanno figli, quasi tutte figli minorenni che si ritrovano a loro volta vittime – dirette o indirette – delle molestie, tanto che i minori coinvolti risultano 985.


 

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