Vic, il custode della moda e il museo del vintage mondiale

TREVISO. Costretta quasi sottovuoto, nell’affascinante spazio alla Filanda Motta di Campocroce, c’è la storia della moda e del costume degli ultimi cento anni. Archiviati in apparente disordine nel quale il padrone di casa si muove con disinvoltura, c’è il rock degli ultimi 40 anni in formato t-shirt, un montone del 1905 acquistato da un pastore afghano e che ispirò Replay per le sue collezioni invernali, il prototipo del giubbotto in pelle finito poi sulle spalle del Dalai Lama. Poi ascolti lui e hai la sensazione di avere davanti un guru della moda, uno di quelli che potrebbe passare ore a disquisire sul rivetto di un jeans Big E della Levi’s. Lui è Vic Caserta, che ha inseguito prima di tutto una passione, da cui poi è nato un business: ricercatore e consulente per le aziende di moda. I suoi pezzi compaiono nei redazionali delle riviste, la scorsa stagione è stato ingaggiato da Première Vision a Parigi per definire le tendenze colori autunno inverno 2012, ha tenuto lezioni allo Ied a fianco di Elio Fiorucci.
Una costante, minuziosa ricerca, di abiti, accessori, oggetti di design lo ha portato a possedere un archivio che conta più di 60 mila capi, collocabili tra fine Ottocento e metà del Novecento («Dopo quella data io non ritengo si tratti di vintage», precisa). Pezzi unici, in alcuni casi rarissimi (come la borsa Gucci uguale a quella che Marylin Monroe utilizzò in un suo film), che grazie alla reinterpretazione di Vic, sono stati fonte di ispirazione per le collezioni di marchi noti in tutto il mondo. Pezzi della storia della moda cui hanno attinto stilisti di fama mondiale come John Galliano e Isabel Marant. «Ho iniziato come commesso a Milano, poi negli anni ‘60 come vetrinista». Tra una partita di biliardo e l’altra con Giorgio Gaber, viene anche assunto alla Rinascente, dall’allora capo-vetrinista Giorgio Armani. Negli anni ’70, Vic inizia una nuova avventura: in piazza Brescia a Jesolo apre il famoso negozio Apache. «La prima jeanseria del Triveneto, gli artigiani prontisti facevano la fila. In quell’epoca conobbi Claudio Buziol e Renzo Rosso. Inaugurai un nuovo modo di vendere, trasgressivo, con le ragazze che ballavano sui cubi».
È il 1986, Vic Caserta decide di trasferirsi in Filanda portando con sé un’enorme eredità: gli abiti che negli anni era andato a scovare in giro per il mondo. Migliaia e migliaia di capi vintage: qui iniziò la sua attività di consulenza. Replay, Belstaff, Rifle, Americanino, Charro. «Mi inventai un nuovo modo di essere consulente: non solo capi da cui trarre ispirazione; fornivo input sulla base delle tendenze che erano in auge. Proponevo fisicamente delle collezioni, frutto dell’assemblamento dei capi del mio archivio». Sessantamila capi a cui attingere, una collezione di borse a cui tiene moltissimo. «I canali erano inizialmente il mercato di Resina a Napoli, poi Prato dove sono nate le più grandi aziende di distribuzione vintage: arrivavano balle da 500 chili, pressate. Cercavi di identificare i colori tra le pieghe. Dentro stracci e pezzi storici, il costo di circa 2.500 lire al chilo. Adesso è cambiato tutto, la ricerca di è spostata in Thailandia a Bangkok». L’attività di consulenza di Vic la prosegue fino al 2008: fu prima braccio destro di Buziol per la linea di successo We Are, poi studiò la grafica della giacca in pelle della linea Free Tibet, della Belstaff che nella campagna pubblicitaria finì sulle spalle del Dalai Lama. Realizza una sua linea, Made in Used ,distribuita a Mosca, Emirati Arabi, Caraibi. «Poi la crisi, l’attività di consulenza cala, me ne vado a Parigi». Qui Vic apre MadeinUsed un piccolo negozio che subito si impone a Rou de Poitou: Isabel Marant e John Galliano attingono al suo archivio, fornisce gli abiti di scena all’Opera di Parigi. Dopo due anni Vic torna in Italia, ora collabora con un nuovo negozio, IJam, in tasca ha numerosi progetti.
«Coco Chanel diceva “quelli che creano sono rari, quelli che non creano sono numerosi. Quindi gli ultimi sono i più forti”. Oggi gli stilisti massificano, copiano, vivono attraverso internet, non conoscono l’odore della lana». Vic racconta tutto questo mentre apre un barattolo in cui sono stipate centinaia di spillette. «A Prato c’erano i cenciaioli: strappavano le giacche, mettevano da parte gli accessori ed io li acquistavo». Apre una balla, ancora legata: tira fuori un cravattino di Dior, unico. Se lo mette al collo e ci ride su.
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