«Un patto dei Cenedese con i calabresi»

Fatture false, evasione, manodopera: l’abbraccio tra l’azienda di Silea e il clan criminale secondo la Procura di Milano
Federico Cipolla



Un rapporto costante fatto di manodopera fornita dalle ’ndrine, di fatture false ad aziende riconducibili ai boss delle cosche, e di forniture fittizie di macchinari. Un vero e proprio patto con la ’ndrangheta. È quello ipotizzato dalla Procura di Milano e di cui era parte attiva la Cenedese Spa di Silea.

Un’azienda storica, con quasi cent’anni di attività alle spalle, e gli ultimi - dopo aver lavorato nell’edilizia - nei grandi cantieri ferroviari italiani ed esteri. Ed è proprio in questo settore che si sono concentrate le indagini della Guardia di Finanza lombarda, che ipotizzano come la ’ndrangheta, attraverso le imprese abbia creato «un piano di spartizione in aree di competenza dell’intero territorio nazionale» per prendere gli appalti da Rfi.

Funzionale a questo piano sarebbe anche la Cenedese Spa. Per la Dda di Milano l’impresa di Silea non fa parte direttamente del gruppo di imprese che ottenevano gli appalti, ma svolgeva alcuni servizi per conto della ’ndrangheta, «sapendo di agevolare la cosca Nicoscia-Arena di Isola di Capo Rizzuto».

Luigi Cenedese e il figlio Andrea, amministratori e soci responsabili dell’azienda sono indagati per associazione a delinquere di stampo mafioso, per utilizzo di denaro di provenienza illecita e autoriciclaggio, e per sfruttamento del lavoro. Il Gip non ha ravvisato le condizioni per l’arresto dei due, ma ha invece disposto il sequestro preventivo ai danni dei Cenedese di beni e denaro per complessivi 449 mila euro.

Secondo gli inquirenti Andrea e Luigi Cenedese partecipavano al sodalizio attraverso il distacco della manodopere e il noleggio dei macchinari; svolgendo il loro ruolo nell’associazione che aveva «obiettivi comuni» e i cui guadagni «vengono ottenuti attraverso la commissione di una serie indeterminata di reati di natura fiscale».

A finire sotto la lente d’ingrandimento della Finanza alcune fatture emesse tra il 2016 e il 2018 dalla Alfer srl, (amministrata da Maurizio Aliosio) per 1 milione e 426 mila euro per il presunto noleggio di attrezzatura, e per 257 mila euro per il distacco del personale. Fatture che secondo le Fiamme Gialle sono false, in quanto ad esse non è corrisposto alcun servizio. Fatto sta che la Cenedese le avrebbe poi utilizzate evadendo 304 mila euro di Ires e 210 mila di Iva.

Per il sostituto procuratore tutto questo «con l’aggravante di avere commesso il fatto sapendo di agevolare la cosca di appartenenza Nicoscia-Arena di Isola di Capo Rizzuto (Crotone) articolazione dell’ndrangheta di cui gli Aloisio erano referenti insieme ai cugini Giardino». Operazione simile avrebbero fatto con la Varfil (amministrata da Antonio Aloisio) nel 2018, 105 mila euro di fatture sempre per il noleggio del materiale e del distaccamento del personale. Erano proprio gli Aloisio e i Giardino, con cui Luigi e Andrea Cenedese tenevano rapporti diretti, e attraverso le imprese a loro riconducibili, che in alcune circostanze veniva fornita la manodopera per i cantieri dell’azienda di Silea. Ma, oltre ad alcune irregolarità di carattere amministrativo e fiscale, il distaccamento dei lavoratori, nascondeva, secondo gli inquirenti ben altro. Quasi sempre gli operai provenivano da Isola di Capo Rizzuto, e spesso erano persone con precedenti penali, o, in alcuni casi, riconducibili alle stesse famiglie affiliate. Sarebbero stati sottopagati e sfruttati, senza applicare il contratto nazionale dei metalmeccanici, senza il riconoscimento di alcuna forma di tutela, senza formazioni o specializzazione specifica per operare in cantieri ferroviari, e «approfittando dello stato di bisogno trattandosi di soggetti per lo più disoccupati, senza alcuna competenza professionale ed esperienza lavorativa, con famiglia da mantenere, provenienti da regione povera, molti dei quali con pregiudizi penali, tutte condizioni idonee ad impedire qualsiasi forma di reazione e disobbedienza», sostiene la Procura.

Andrea e Luigi Cenedese, inoltre insieme ad altri, avrebbero contribuito a sostituire o trasferire denaro proveniente da illeciti per complessivi nove milioni tra il 2015 e il 2018. —

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