«Un cavaliere indegno», dopo 32 anni via il titolo a San Vendemiano

La battaglia di Sandro Zoppè ha attraversato cinque presidenze dello Stato. Onorificenza persa per Franco Campodall’Orto, ex sindaco di San Vendemiano

CONEGLIANO. Ha scritto al Quirinale lettere su lettere. Ha cominciato con Francesco Cossiga, nel 1986, e adesso, 32 anni dopo, ha vinto la sua battaglia: la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato la revoca dell’onorificenza di cavaliere al suo dipendente infedele, che gli aveva sottratto 9 milioni di lire dalle casse dell’azienda agli inizi degli Anni ’80.

Allegranzi Paré di Conegliano signor Zoppé
Allegranzi Paré di Conegliano signor Zoppé

Era il direttore amministrativo della sua azienda, e non uno qualsiasi: perché Franco Campodall’Orto, oggi 81 anni, che abita a San Vendemiano, di questo Comune è stato anche sindaco, a cavallo fra anni ’70 e ’80, per la Democrazia Cristiana. «Sì, giustizia è fatta, e trionfano onestà e correttezza, come dovrebbe sempre essere», dice Sandro Zoppè, 77 anni, dalla sua abitazione di Parè, mostrando la pila di carte e documenti, ma anche la copia della Gazzetta Ufficiale che ha sancito la sua vittoria. Zoppè, alla battaglia, è uno abituato: non lo spaventano tempi, uffici, carte, avversari, istituzioni da affrontare.

Con il fisco ha intrapreso in passato un contenzioso di 35 anni, e alla fine l’ha spuntata lui, in terzo grado, ancora a Roma. «Eh, quella volta mi avevano presso di mira perché avevo rifiutato di dare tangenti a un funzionario qui a Conegliano: ma sapevo di avere ragione, e io non mollo mai, credo che la ragione trionfi, alla fine», spiega oggi, dopo questo nuova sfida allo Stato, «quella volta, quando ho visto che concedevano il titolo di cavaliere della Repubblica a un signore che mi aveva derubato, mi sono detto che non era possibile, in uno Stato normale: e invece era tutto vero.

Una beffa, un’ingiustizia colossale, mi è montata una tale rabbia, che ho scritto subito a Cossiga, allora Capo dello Stato per segnalare la cosa e chiedere l’immediata revoca del cavalierato. Pensi che allora mi dicevano era la regola, dopo due mandati da sindaco era una prassi automatica... ma come? La vicenda giudiziaria che mi ha visto vittima, compresa la sentenza che riconosceva Campodall’Orto colpevole era uscita su tutti i giornali, era di dominio pubblico, figurarsi qui a San Vendemiano dove era stato sindaco». Ma da allora, dal primo Colle della politica italiana, nessun segnale. E il cavalier Campodall’Orto restava in sella. Un altro si sarebbe arreso. Non Zoppè: «Non mi conoscono, forse; per anni e anni nessuno mi ha risposto, ma io non ho mai mollato: telefonavo a Roma negli uffici, non capivo chi aveva in mano la mia richiesta di revoca, mi dicevamo “abbia pazienza”, oppure “si sì’, “prenderemo in esame” . Ma il mese dopo richiamavo...»

Gutta cavat lapidem, dicevano i latini, la goccia scava la pietra. E forse è davvero il mondo per ottenere qualcosa con uno Stato dai tempi più lenti di una tartaruga...E chissà chi o cosa, nei corridoi romani dell’ufficio competente, ha finalmente aperto il plico e mandato avanti - come si dice – la pratica. «Finalmente, 7-8 mesi fa, hanno chiamato da Roma, per dirmi che il plico con la mia richiesta di revoca dell’onorificenza era stato inviato alla Presidenza delle Repubblica, per la valutazione e la decisione, che spettava ad una apposita commissione. E già il fatto che si muovesse qualcosa mi aveva indotto ad essere ottimista, perché i fatti sono talmente evidenti: bastava aprire e leggere le carte».

E 32 anni e 5 capi di Stato dopo – Francesco Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro, Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella - e (forse) 2 Repubbliche dopo, il Quirinale ha disposto la revoca del titolo di cavaliere della Repubblica, per «indegnità dell’insignito». E a 77 anni, Sandro Zoppè può ben dire di aver vinto la sua seconda grande battaglia con lo Stato. «Lo rifarei domani, nei valori e nei principi non si deroga e non si deve derogare, ne va delle credibilità dello Stato e di una comunità», conclude, «quel signore per me resta un condannato per appropriazione indebita, e se lo incontro per strada glielo dico ancora, mi è capitato poche settimane fa qui in paese dal tabaccaio. E so di non essere stato l’unica sua vittima, quando ha lasciato la mia azienda, ma lasciamo stare. Quella volta, prima della sentenza, mi versò tre assegni, a risarcimento del danno, e per evitare la galera con le aggravanti, il fatto di essere mio dipendente avrebbe fatto superare il limite per non andare in prigione. Su quella base ha anche beneficiato dell’amnistia, ma la sentenza di condanna, pronunciata da un collegio presieduto da Giancarlo Stiz (il famoso magistrato scomparso recentemente ndr), è definitiva».

Come la revoca del cavalierato, adesso. E chi può dire che lo Stato non sa fare autocritica? Pura questione di tempo. Nel senso di averne davanti, di tempo, per aspettare di veder trionfare la giustizia. Una generazione non basta. (a.p.)

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