«Truffatori impuniti e io chiudo la ditta»

Autori di un raggiro da mezzo milione salvati dalla prescrizione, parla la vittima: «Giustizia allo sfascio, io ho perso tutto»
Un'aula di tribunale
Un'aula di tribunale

Lo hanno truffato per mezzo milione di euro. Una vicenda devastante, che lo ha costretto anche a chiudere la sua impresa di impianti elettrici. Ora la beffa: la lentezza della giustizia italiana grazierà i tre autori della truffa, condannati in primo grado ma salvati dalla prescrizione in appello. «Un incubo dal quale so che non uscirò mai», dice ora la vittima.
Dietro la freddezza delle statistiche (in appello a Venezia salta un processo su due) ci sono storie personali drammatiche. Come quella di Silvano Martin, 55 anni, trevigiano di Canizzano, ex titolare della Sima Impianti di Preganziol. L’imprenditore è stato vittima di una truffa colossale, circa mezzo milione di euro (più avanti i dettagli). Ha sperato di ottenere giustizia, ha ottenuto un pugno di mosche, litri di rabbia, una vita rovinata. «Non dico davvero ciò che penso della giustizia italiana sennò arrestano me», dice amaramente. I tre autori della truffa ai suoi danni sono sì stati condannati (due anni e due mesi a testa, sentenza di primo grado emessa la scorsa settimana in tribunale a Treviso), ma il ricorso in appello sancirà la “scadenza” del processo: tutto da buttare al macero, e i tre ne usciranno senza macchia. E senza dover restituire un solo centesimo.
Come ci si può sentire, dopo una vicenda del genere? Le parole di Martin sono pesanti, ma basta tentare per un secondo di mettersi nei suoi panni per capire benissimo il suo stato d’animo. «Dopo due anni e mezzo dalla denuncia il fascicolo era ancora fermo nel cassetto del pubblico ministero», racconta l’ex imprenditore, che oggi di fatto si guadagna da vivere come artigiano, «sono dovuto andare una mattina intera in tribunale per tentare di far valere le mie ragioni. Ho alzato la voce, sapete cosa mi hanno detto? Si calmi sennò la facciamo arrestare».
Il racconto di questa storia personale non vuole essere un attacco alla Procura di Treviso, basta frequentare un po’ il palazzo di giustizia per rendersi conto delle condizioni in cui sono costretti a lavorare i magistrati, tra carenze di personale e operatività ingolfata da reati come guida in stato di ebbrezza, mancati pagamenti degli assegni familiari, immigrazione clandestina. Quando però un cittadino finisce per essere vittima due volte (di chi ha commesso il reato prima, della giustizia poi), è palese come la seconda sia più grave, pesante, inaccettabile. «Ho visto, anzi, ho subìto cose incredibili», racconta Martin, «con il magistrato che aveva il mio fascicolo che è stato trasferito a Brescia, tempi morti nel passaggio a un altro, udienze rinviate perché mancava un pezzo di carta o per un cambio di residenza degli imputati non notificato. Ma stiamo scherzando?».
No, non è uno scherzo, e l’ex imprenditore ora lo ha capito sulla sua pelle. Glielo chiediamo: è rassegnato al fatto che i suoi soldi non li rivedrà mai più? «Chiaro che sono rassegnato. Questi non faranno un giorno di galera e io non vedrò un centesimo». In concorso tra loro, i tre truffatori - secondo la sentenza di primo grado - hanno stipulato un contratto d’appalto con la Sima di Martin per la realizzazione di impianti elettrici e meccanici presso un complesso residenziale in costruzione nel 2006 a Vittorio Veneto. Un lavoro che i tre intendevano pagare con il trasferimento alla Sima di un immobile di pari valore, o con 496 mila euro qualora la costruzione di tale immobile non fosse stata completata. Alla fine Martin non ha ottenuto né soldi, né immobile. Una beffa, anzi: solo la prima.
 

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