Stefanel, caccia ai contratti di solidarietà

PONTE DI PIAVE. Sindacati ed azienda in pressing sulle istituzioni per evitare che i 93 cassintegrati della Stefanel si trasformino in mobilità e, quindi, in licenziamento a partire dal prossimo febbraio.
Andrea Guarducci della Cgil ed Andrea Misericordia della Cisl hanno messo a punto, d’accordo con la direzione aziendale, una richiesta alla Regione e per suo tramite al Governo per un supplemento di contratto di solidarietà. Ovvero altri due anni di orario ridotto per tutti, con integrazione salariale da parte dell’Inps, in modo che nessuno di questi operai resti a casa.
«Questa è la vera sfida» conferma Guarducci che incontriamo davanti alla fabbrica, dove ieri mattina s’è presentato di buon’ora per raccogliere le istanze dei lavoratori. Una sfida perché il programma di solidarietà si è concluso nei giorni scorsi, dopo ben quattro anni di riduzione d’orario. Da quando cioè furono decisi gli esuberi, compresi i 93 riemersi in questi giorni. La normativa nazionale, dopo la scadenza di 4 anni, non prevede altri ammortizzatori.
Ma Cgil, Cisl e Uil stanno chiedendo alle istituzioni, «a tutti i livelli», una deroga in modo da salvare l’azienda, una delle più blasonate dell’economia veneta. E possibilmente di salvarla a quota 200 posti di lavoro, senza dimezzarla come accadrebbe tagliando 93 posti.
Guarducci e Misericordia hanno verificato presso lo stesso Inps se ci sono i presupposti sostanziali, quelli finanziari, per nuovi contratti di solidarietà e la riposta ricevuta è stata positiva: «Basta che lo voglia Roma». Ovvero? «Le risorse della cassa integrazione, in particolare di quella in deroga, e della mobilità, potrebbero essere versate nei contratti di solidarietà; addirittura si risparmierebbe», riassumono i sindacalisti.
A Venezia, dov’è impegnato con le schede ospedaliere, il presidente della Regione, Luca Zaia, conferma che «sono pronto a fare quanto i lavoratori mi chiedono». La chiusura dei 93 posti in un’azienda autorevole come la Stefanel, fa dire al governatore che «questo è un bollettino di guerra; i nuovi esuberi ci fanno pensare agli altri 170mila disoccupati che abbiamo».
Zaia si dice indignato per la delocalizzazione a cui continuano a far ricorso numerose industrie. «I nostri lavoratori non si possono confrontare con i 5 euro al giorno con cui viene pagato un cinese o l’euro al giorno dell’indiano – sbotta il presidente -. La nostra economia non è basata su fibra ottica, ricerca o altre cose del genere ma almeno per il 70% sulla manifattura e noi dobbiamo difenderla con i denti».
Detto questo, il governatore si schiera con i lavoratori, i sindacati, la stessa impresa. «Una soluzione la dobbiamo trovare insieme. A cominciare dalla copertura degli ammortizzatori sociali». Ma non solo. Zaia si dice letteralmente allarmato per quanto temono i sindacati: la delocalizzazione da parte di tante aziende non solo delle produzioni, ma anche dei centri di ricerca, delle stesse amministrazioni aziendali. «E’ quanto di cui mi preoccupavo quando ci rassicuravano che i cosiddetti cervelli delle nostre aziende non sarebbero andati in fuga. Invece ecco la verità». E la verità, oggi, secondo Zaia è che «noi dobbiamo non solo fermare l’emorragia di posti di lavoro ma anche quella delle persone che si occupano dell’aspetto dirigenziale e della programmazione».
Alla domanda se la Regione riaprirà i rubinetti per le aziende che de localizzano, Zaia risponde seccamente di no. «Con me presidente non è mai successo». Ma secondo il sindacato un’azione difensiva, seppur importante, non è sufficiente.
Ed ecco, pertanto, un’altra risposta rivoluzionaria di Guarducci.
«I lavoratori in cassa integrazione, che devono accontentarsi di 700 euro al mese, non vengano rimessi in gioco soltanto con i lavori socialmente utili, ma siano resi disponibili per quelle aziende – e ce ne sono tantissime nel nostro territorio – che hanno bisogno di nuovo personale ma non hanno le risorse necessarie, in questo momento, per prenderlo in carico. I lavoratori continuerebbero a percepire l’integrazione al 70 o al 60 per cento dall’Inps, il resto potrebbe metterlo la ditta che li prende in carico».
Gli operai in esubero alla Stefanel ritroverebbero, in questo modo, senz’altro ricollocazione, nella prospettiva che non si arrivasse al supplemento di solidarietà.
Bisognerà vedere se questa proposta, che sembra semplice e intelligente al tempo stessa, verrà presa in considerazione dal Governo al momento di varare la manovra che dovrebbe rilanciare i consumi e - di conseguenza - l’economia di questo paese, dopo il lungo periodo di tagli e di mero contenimento della spesa pubblica.
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