Sparite le foto dello schianto nuova inchiesta in Procura

I genitori di una delle vittime depositano l’audio di un agente della Stradale «Il capo mi ha detto: “quando ho fatto su il fascicolo, io ho sbregato tutto”»
SAN VITO ALTIVOLE INCIDENTE MORTALE FOTOCRONACA san vito altivole incidente mortale
SAN VITO ALTIVOLE INCIDENTE MORTALE FOTOCRONACA san vito altivole incidente mortale



Dopo quattordici anni potrebbe essere scritta una nuova verità sulla strage di Riese del 5 aprile 2005. Quella notte persero la vita i padovani Mattia Tindaci, 18 anni, e i fratelli Nicola e Vittorio De Leo, 18 e 17 anni quest’ultimo studente al Filippin di Paderno. Due i superstiti, anch’essi padovani: Francesca Volpe, figlia di un magistrato del tribunale di Venezia, e l’amico Alessandro Faltinelli. Sarà ora il tribunale di Treviso a stabilire se serviranno nuove indagini per capire che fine abbiano le fotografie scattate quella notte al conducente dell’auto e misteriosamente distrutte sia nella loro versione cartacea che digitale. L’esposto è dei genitori di Mattia Tindaci, commercianti del centro di Padova, che non si sono mai arresi al fatto che il loro ragazzo, che aveva il foglio rosa, sia stato indicato come la persona alla guida dell’auto. Sono convinti che al volante ci fosse invece uno dei fratelli De Leo, Nicola o il minorenne Vittorio, figli di uno psichiatra.

la ricerca della veritÀ

Per capire cosa è accaduto in questi anni è quindi necessario tornare a quella drammatica notte di aprile del 2005 e ricostruire gli eventi successivi grazie agli atti e alle testimonianze rese nei diversi procedimenti penali e civili. E capire soprattutto la storia delle fotografie scattate al conducente dell’auto, delle quali per anni si è ignorato perfino l’esistenza. Va detto che il procedimento penale si chiuse con il patteggiamento della Volpe, maggiorenne e patentata, a trenta mesi «per aver consentito di guidare a Mattia Tindaci o in alternativa a Nicola De Leo». C’è poi stato un processo civile che ha stabilito i risarcimenti per la famiglia De Leo e i superstiti. A chiedere un nuovo procedimento è stata la famiglia Tindaci, secondo la quale la verità su chi guidava quella notte non è mai stata chiarita.

la svolta

Già nel corso di una udienza di primo grado l’agente della Stradale Bruno Saviane, il 22 gennaio 2013, affermò di aver scattato «alcune foto e in particolare fotografai il volto del conducente; consegnai poi la fotocamera all’ufficio incidenti della Polstrada di Treviso, come si fa sempre». Su richiesta dei genitori Tindaci, assistiti dagli avvocati Vieri e Francesca Tolemei, è un giudice della Corte d’Appello a chiedere alla Polstrada quegli scatti, ora divenuti fondamentali per dirimere le controversie civili sui risarcimenti. E qui arriva il primo colpo di scena: la Polizia Stradale dice che quelle foto non ci sono più, perché i computer sui quali erano state salvate sono stati formattati prima di essere riconsegnati alla Questura di Padova e alla Provincia di Treviso.

la registrazione

Nel documento con cui l’avvocato della famiglia ora si oppone alla richiesta di archiviazione è allegato anche un audio registrato dal papà di Mattia nella sede della Stradale a Treviso, in cui si sente un agente dire: «Le foto c’erano, le ho viste, le ho stampate... Quando ho preso il fascicolo e ho visto che le foto non c’erano, l’allora capo dell’ufficio incidenti mi ha detto: quando ho fatto su il fascicolo, io ho sbregato tutto». Una versione ovviamente inaccettabile per i Tindaci, soprattutto perché emerge anche che nel 2005 un mini cd, sul quale erano state riprodotte le fotografie relative all’incidente, andò distrutto nel tentativo di leggerlo all’interno dell’ufficio di polizia giudiziaria in tribunale a Treviso. Una vera beffa dato che, come ha dichiarato lo stesso agente nel corso dell’interrogatorio reso il 4 giugno 2018, «al tempo vi era un tacito accordo tra Procura e sezione che contemplava il fatto di evitare di inserire fotografie “crude o di un certo effetto” all’interno dei fascicoli fotografici».

l’esame del dna

Secondo la famiglia Tindaci c’è quindi la certezza che l’assenza di queste foto «abbia determinato l’assoluta arbitrarietà nel dare un nome al conducente». Alla luce anche del risultato dell’unica prova scientifica in mano agli inquirenti, ossia l’esame del Dna sulle tracce di sangue rinvenute sulla cintura di sicurezza e sul sedile del conducente. Quella consulenza tecnica, disposta nel 2005 dal sostituto procuratore Giovanni Valmassoi alla professoressa Luciana Caenazzo, dell’Istituto di medicina legale di Padova, in base alla comparazione con i dna dei genitori Tindaci escluse «che le due tracce biologiche possano appartenere a Mattia», diversamente da quanto disse Francesca Volpe. In più, secondo un consulente tecnico di parte, «è altamente probabile che il guidatore e uno dei ragazzi seduti nel sedile posteriore siano fratelli».

l’udienza

La palla è ora nelle mani del tribunale che dovrà stabilire se accogliere la richiesta di archiviazione della Procura di Treviso o accogliere l’opposizione della famiglia Tindaci, che vuole sia fatta chiarezza sulla misteriosa sparizione delle foto che avrebbero potuto dire una volta per tutte la verità su chi era alla guida della Ford Fiesta in quella drammatica notte a Riese. —



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