Siluri, gamberi, tartarughe. Ecco i nuovi nemici del Sile

TREVISO. Fino ad oggi si è parlato solo ed esclusivamente di nutrie, i grandi roditori che hanno popolato le sponde di canali e fiumi della Marca; ma l’asta del fiume Sile, dalla foce alle sorgenti, ha altri tre nemici, più piccoli ma egualmente deleteri per il suo ecosistema. Si tratta del pesce siluro, che negli ultimi anni ha risalito sempre più le acque del fiume eliminando molti altri predatori più piccoli e riproducendosi in pressoché totale assenza di pericoli, fatto salvo qualche pescatore; del Procambarus clarkii, volgarmente detto gamberone della Louisiana, una specie aliena introdotta in Italia per la prima volta in Toscana e letteralmente sfuggita di mano a chi pensava di allevarla per la carne dilagando in tantissimi fiumi; infine una tartaruga, la Trachemis scripta, specie originaria degli Stati Uniti finita nelle acque del Sile probabilmente a causa di abbandoni o rilasci fuorilegge fatti da chi l’aveva acquistata in negozi di animali esotici, e poi ha deciso di liberarsene non pensando che – da specie più forte – avrebbe presto creato gravissimi problemi alle tartarughe di acqua dolce che vivevano le fiume.
Tre emergenze silenziose, che stagione dopo stagione sono cresciute al punto da rientrare in uno specifico progetto di tutela disegnato dall’Ente Parco Sile. Il piano, seguito dall’“assessore” Sartorato, ha passato il vaglio della giunta dell’Ente e soprattutto della Comunità europea che ha assegnato al Parco un finanziamento da quasi 2 milioni di euro sui 3.048.811 euro dell’intero progetto, un’operazione quadriennale destinata alla ricostruzione della fauna e della flora originaria del Sile.
Il piano si chiama Sil-Life ed ha preso il via nei giorni scorsi con le prime operazioni di rilievo geografico e ambientale. Il programma d’intervento infatti è vasto, non prevede solo la cattura e l’“eradicazione” di quasi 11mila esemplari tra le tre specie nell’arco di quattro anni (si calcola che solo i siluri alieni da intercettare e eliminare siano 1200, e 9000 i gamberoni), ma anche il ripristino della flora di circa 12 ettari di terreno lungo il Sile in località Quinto-Morgano con l’impianto di ben 5000 tra alberi e arbusti autoctoni, la riapertura di alcuni fontanili con la piantumazione di altre 750 specie arboree autoctone lungo l’asta del fiume, l’acquisto di circa 67 mila metri quadrati di aree di pregio ambientale in stato di abbandono «o con habitat in regressione».
È un piano molto vasto che il Parco ha realizzato in collaborazione con Regione, provincia e con la Bioprogram, una società cooperativa di biotecnologia avanzata con cui aveva già cooperato e che si occuperà delle analisi e dei rilievi partecipando ai costi del piano come forza lavoro.
Ma se piantare alberi e arbusti è relativamente facile, ed effettuare rilievi e analisi è una questione di laboratorio, come pescare migliaia di gamberi e centinaia tra siluri e tartarughe? L’Ente Parco punta a recuperi attraverso trappole subacquee, elettrostorditori, ma anche vere e proprie attività di pesca a rete – i cosiddetti “maglioni” – lungo l’asta del fiume per catturare i grandi predatori riuscendo a setacciare le acque liberando le specie più piccole.
L’Ente punta a rinfoltire la flora e ripulire la fauma. Ce la farà? Il bilancio dovrà essere fatto nel 2018, la Comunità Europea ci ha creduto, e controllerà. Ammesso che tutto vada per il meglio, il Sile riuscirà a rompere l’assedio dei tre intrusi, ma resterà a fronteggiarsi con il “nemico” di sempre: la nutria, contro cui non hanno funzionato né le gabbie, né l’invito a sparare fatto ai cacciatori, né il menù degustazione “alla nutria” lanciato dal’assessore provinciale Lorenzon.
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