«Siamo diventati mensa aziendale per rimanere aperti a pranzo»

La storia/1. Monica Vian, osteria “Alla Sicilia-Casa Vian” di Dosson «Ci comunicano in anticipo i nominativi dei clienti e gli orari di arrivo» 

dosson di casier

Diventare mense aziendali per non chiudere. La ricetta l’ha suggerita Confcommercio, e per molti esercizi trevigiani si è trattato di una naturale evoluzione. Perché la maggior parte di loro era già abituata, a pranzo, a garantire il servizio agli impiegati o agli operai. Tra chi si è riconvertito c’è Monica Vian, che con i fratelli Michele e Roberto gestisce l’osteria “Alla Sicilia-Casa Vian” di Dosson.
Cosa significa trasformarsi da ristorante a mensa aziendale?
«Avevamo già delle convenzioni con aziende del territorio, a fine mese fanno una fattura riepilogativa. Abbiamo avvisato che potevamo aprire per loro e fare questo tipo di servizio. Non possono accedere privati né liberi professionisti. Siamo sull’ordine della ventina di persone ogni giorno, nel nostro caso impiegati. Menu alla carta o convenzioni con l’azienda».
Basta per colmare le perdite di un 2020 difficile?
«No, ma piuttosto che stare chiusi... Portavamo il pranzo alle aziende in ufficio, ma non è la stessa cosa. Abbiamo voluto dare un servizio. Dopo il 6 gennaio le aziende erano aperte e facevamo da asporto. Poi Ascom ha fornito i dati per un contratto particolare da firmare con le aziende, e che prevede orario di ingresso e uscita, nominativi, Pec al comune per dichiarare che rimaniamo aperti come mensa. E da martedì siamo tornati a lavorare».
Come giudica i ristori arrivati dal governo?
«Non sono assolutamente sufficienti. Sono calcolati male, bisognerebbe tararli sul fatturato. Noi avevamo un buon fatturato perché facevamo anche eventi e feste. Ci sentiamo lasciati a noi stessi, non bastano a coprire nulla. L’ultimo è arrivato a gennaio, ne abbiamo ricevuti complessivamente tre, sui 19 mila euro in totale. La fortuna è che lavoriamo in famiglia: dovessi mantenere del personale, non so come farei». —



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