Si è ucciso il ristoratore Gianfranco Mazzariol

Treviso piange l’ennesima vittima della crisi. Gianfranco Mazzariol, 59 anni, ex rugbista, titolare con il fratello Giancarlo «checchi» Mazzariol del Birrificio trevigiano di Vascon e del famoso ristorante «Al Mercato», nella zona del mercato ortofrutticolo alle Stiore, si è ucciso ieri mattina nel garage della sua abitazione di via Aquileia a Paese. Si è sparato con il suo fucile da caccia, a metà mattina, oppresso dalla paura di non riuscire più a fronteggiare i debiti e le richieste dei creditori e delle banche. La notizia ha fatto il giro della città come e forse più velocemente della tragedia che nel dicembre scorso aveva segnato il centro storico, teatro del suicidio di Manuele Barbisan, titolare del bar la Corte. Il barista era anche lui crollato davanti all’incubo dei conti che non tornavano più, delle continue richieste dei creditori e delle banche che mettevano a rischio anche la tranquillità della sua famiglia.
La tragedia che ha sconvolto il mondo del commercio, del rugby e l’intero tessuto sociale della città che in Gianfranco Mazzariol aveva uno dei volti più noti e apprezzati, è iniziata quando la nipote Federica ha alzato il portone basculante dell’abitazione di via Aquileia. Davanti a lei il corpo di Gianfranco in una pozza di sangue. Inutile telefonare ai medici, inutile tentare di chiudere gli occhi nella speranza di riaprirli e scoprire che era stata solo un’allucinazione.
A dare per primo l’allarme è stato Piero, il socio che al birrificio aspettava l’arrivo di Gianfranco. Erano le undici circa. Non vendendolo giungere, l’uomo ha chiamato la moglie, Nadia, per sapere se c’erano problemi. Lei, che era uscita di buon ora per andare a lavorare alle Stiore lasciando Gianfranco a casa da solo, ha immediatamente telefonato alla nipote chiedendo di andare a controllare. In pochi minuti a Paese sono arrivati la moglie, il fratello, la figlia Giulia e i parenti. Lì c’erano già i carabinieri di Paese, impegnati a ricostruire quanto accaduto all’interno della casa.
A uccidere Gianfranco è stata la paura di non riuscire a onorare i debiti, «l’umiliazione quotidiana a cui era sottoposto», come spiega il fratello. I due, insieme, trent’anni fa avevano deciso di lanciarsi nella ristorazione acquisendo i due bar che una volta animavano il piazzale del mercato ortofrutticolo. Dopo alcuni anni l’idea di mettersi insieme e aprire il ristorante diventato il luogo di ritrovo per tantissimi lavoratori e per professionisti della città che lì, tra i tavoli, e nel clima informale della sala da pranzo alle Stiore, trovavano tranquillità e ilarità. Da lì era poi partita l’avventura del Birrificio trevigiano e della vicina birreria, locali che avevano dato tanto, ma che negli ultimi tempi stavano facendo registrate passaggi di gestione e compartecipazioni che puntavano proprio ad alleggerire il carico di pagamenti fatto per avviare l’impresa.
L’incubo dei debiti, nella mente di Gianfranco, è cresciuto sempre più diventando un ostacolo insormontabile. A renderlo tale aveva contribuito, secondo i familiari, una pesante cartella esattoriale arrivata due anni fa; ad aggravare il tutto gli inutili tentativi di vedere delle proprietà immobiliari allo scopo di rientrare dei debiti. Ai conti che non tornavano hanno iniziato ad aggiungersi le richieste di pagamento dei fornitori e delle banche. Gianfranco ha provato a fronteggiarle, rassicurando loro e se stesso, confortato dal fratello che gli diceva «non ti preoccupare». Ma poi ha gettato la spugna. Ieri mattina si è svegliato, è andato a dar da mangiare ai suoi setter, una passione che coltivava da anni e condivideva con gli amici che lo accompagnavano nelle passeggiate. Poi è tornato in casa, è sceso nel garage e ha caricato il fucile nella semioscurità. Ha fatto fuoco, pare, dopo aver lasciato un biglietto in cui chiedeva di non avere funerali.
Il colpo è risuonato tra le villette del quartiere, ma chi era in casa, a quell’ora, ha pensato si trattasse del rumore di un vicino cantiere edile. Quando sono arrivate le auto dei carabinieri e le lacrime hanno segnato un silenzio spettrale, tutti hanno capito la tragedia era compiuta. Gianfranco Mazzariol, Franco per tutti quelli che lo conoscevano era l’immagine dell’ilarità, il «baffo furbo» come lo ricorda qualcuno, «il viveur». Simbolo di una città che aveva voglia di fare impresa, costruire, stare in mischia fianco a fianco e che ora, purtroppo, vacilla.
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