San Daniele taroccato, cinque allevatori trevigiani tremano

TREVISO. I prosciutti italiani dop, dal San Daniele al Parma provenivano da maiali fecondati con il seme di suini danesi. Una truffa, secondo la procura della Repubblica di Torino, che rischia di costare il processo a numerosi fra allevatori e collaboratori del Nord Italia, tra questi anche cinque trevigiani.
la truffa. La procura della Repubblica del capoluogo piemontese, che ha chiuso le indagini preliminari in collaborazione con i colleghi di Pordenone, ha inviato agli indagati l’avviso di conclusione delle indagini e, salvo sorprese, nel corso dei 20 canonici giorni in cui i legali hanno tempo per produrre memorie difensive, ora si appresta a chiedere il rinvio a giudizio, complessivamente, di un centinaio di indagati.
prosciutti taroccati. L’indagine parla di oltre 270mila prosciutti falsificati l’anno (del valore di circa 27 milioni di euro), ossia il 10% dell’intera produzione annuale di cosce San Daniele, e di un sistema che perdurava molto probabilmente da circa 10 anni. L’indagine sul San Daniele è stata condotta parallelamente a quella di Torino su un altro celebre crudo, quello di Parma, e ha fatto emergere le medesime ipotesi di reato. L’inchiesta ha coinvolto anche i responsabili di scrofaie della Marca dislocate tra Castello di Godego, Trevignano, Zero Branco e Breda di Piave.
L’inchiesta. L’inchiesta è partita da Torino nei primi mesi del 2017. I verri (maiali maschi da riproduzione), oggetto dell'indagine, erano stati posti sotto sequestro ed era stato disposto l'esame del Dna su un campione di "suinetti" di ciascun allevamento finito nelle maglie dei controlli per capire se erano stati riprodotti dai verri ammessi al Dop e, dunque, se era stata rispettata la filiera del prosciutto a “denominazione d'origine protetta”. Il sospetto degli investigatori era, infatti, quello che la produzione del prosciutto San Daniele Dop e Parma fosse stata contaminata da verri da riproduzione non ammessi al Dop.
In particolare verri danesi, la cui carne è sanissima ma senza le caratteristiche di qualità e tipicità richieste per produrre prosciutti che si possano fregiare della Denominazione di origine protetta. Il problema, dunque, nasce dalla fecondazione delle scrofe con il seme di verri dal genoma compatibile o meno con le razze consentite dal regolamento di produzione. Due sono le procure che hanno coordinato l'inchiesta. La procura di Torino, da cui parte l'inchiesta dopo un controllo su un'azienda piemontese che commercializza il seme suino, e quella di Pordenone.
Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso