Ricatti ai preti, in quattro a processo

PAESE. Si presentavano ben vestiti, con depliant e biglietti da visita a preti, suore e responsabili di istituti religiosi offrendosi di restaurare o lucidare oggetti sacri. Il raggiro consisteva nel concordare un preventivo che, all’atto della riscossione dei soldi, veniva regolarmente disatteso e quanto meno raddoppiato. In questo modo, coglievano di sorpresa i religiosi che, seppur contestando il prezzo, venivano minacciati. E così quattro componenti della famiglia Levak (difesi dall’avvocato Guido Galletti), che vivono in un campo nomadi di Paese, sono stati rinviati a giudizio, ieri mattina, dal giudice Angelo Mascolo per i reati di truffa aggravata ed estorsione. Si tratta di Guido Levak, 51 anni, Sandro Levak, 35 anni, Dessa Anna Levak, 51 anni, e Diego Levak, 55 anni.
Andando nello specifico delle accuse, Sandro Levak e Anna Dessa Levak sono accusati di aver estorto, nel febbraio 2015, la somma di 4.900 euro, dopo aver inizialmente pattuito un preventivo di 450 euro, per la lucidatura di alcuni oggetti sacri, minacciando un sacerdote della chiesa dei Santi Martino e Rosa di Conegliano di essere denunciato alla Curia e di finire sui giornali per non aver onorato l’impegno.
Guido, Sandro e Dessa Anna Levak devono, invece, rispondere dell’estorsione di 4.000 euro ai danni di una suora del Conservatorio Nostra Signora della Visitazione di Loano (Savona) minacciata, nel luglio del 2015, di “farle fare brutta figura” se non avesse pagato. Anche in questo caso, secondo la procura, il preventivo era di 10 volte inferiore.
Sempre i Levak, a vario titolo, tra il novembre 2014 e l’ottobre 2015, si sarebbero resi protagonisti di tre truffe, con importi anche che sfioravano i 20.000 euro, ai danni di altri religiosi (sacerdoti di Sagnino-Como, Pianfei-Cuneo e Monesiglio-Cuneo).
L’indagine è iniziata dopo che i carabinieri della compagnia di Castelfranco, durante una perquisizione a Paese ad un componente della famiglia Levak per tutt’altra vicenda, trovarono alcuni depliant, con relativi biglietti da visita, in cui veniva pubblicizzata l’opera di restauro e lucidatura di oggetti sacri. Solo che nei biglietti da visita c’erano nomi dei Levak ma nomi inventati. Il tutto per non far risalire alla loro origine nomade e magari a vicende ricollegabili a guai con la giustizia che al giorno d’oggi si possono anche apprendere nel mondo del web.
Da qui il sospetto che dietro a quell’attività si nascondesse affare illecito ha spinto gli investigatori dell’Arma ad iniziare un’indagine che ha portato alla denuncia dei componenti della famiglia Levak sui cui conti correnti confluivano, secondo la procura, i soldi illecitamente acquisiti. La prima udienza del processo inizia il 10 dicembre.
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