«Riapriamo il locale» Marta ora volta pagina

La “ragazza contesa” telefona ai Pagotto: «Abbiamo molte prenotazioni» La prima aggressione di Bottecchia a Pagotto vanificata da una cameriera
Di Andrea De Polo

CONEGLIANO. Il telefono a casa Pagotto squilla poco dopo le 11 del giorno di Santo Stefano. All’altro capo della linea c’è Marta Langero, “la ragazza contesa” per chi in questi giorni ha sentito la sua storia, l’amica di Gianpietro per i genitori di lui, la mamma per la piccola di due anni. Vuole sapere, semplicemente, se si riuscirà a tenere aperta la bruschetteria di Giampy per Capodanno, perché per il cenone di San Silvestro ci sono già diverse prenotazioni, e ritiene che sarebbe un peccato dire di no a chi ha prenotato la festa con largo anticipo. Senza il suo titolare Gianpietro, l’uomo che con Marta si stava frequentando da diverse settimane, non sarà facile. Lei alla bruschetteria di via Caprera a Vittorio Veneto, oggi ancora chiusa «per infortunio», ci lavora da qualche mese, ma quella riapertura sarebbe molto più di un formale atto amministrativo: sarebbe il primo vero tentativo di voltare pagina, la prima occasione per provare a ricostruire una vita che la furia dell’ex fidanzato Matteo Bottecchia, papà della bimba, ha tentato brutalmente di soffocare. La ragazza si è fatta forza, ha preso il telefono e ha chiamato il papà di Giampy, per vedere cosa si riesce a fare.

La bruschetteria di via Caprera potrebbe già riaprire domani mattina, ma senza il suo titolare e chef, lavorerà inevitabilmente a regime ridotto. Marta e la famiglia Pagotto remano dalla stessa parte: la parola d’ordine è normalità, ma senza mettere pressione a Giampy, l’unico che alla fine deciderà davvero se riaprire o meno il locale, e se confermare il veglione di Capodanno. «Marta l’abbiamo conosciuta anche quando non era ancora la fidanzata di nostro figlio» hanno ricordato ieri Maurizio e Bruna, i genitori di Gianpietro «lui ce l’aveva presentata come amica», ma oggi si comportano come un’unica famiglia. Pregano, e ricordano. Ricordano i momenti del raptus, che dalla mente non se ne andranno mai, ma anche quella strana serata alla bruschetteria di Giampy, pochi giorni prima dell’aggressione. Matteo era entrato poco prima dell’orario di chiusura, da solo, e aveva ordinato una birra, ostentando un certo nervosismo. Gianpietro Pagotto, che lo conosceva di vista, era preoccupato. E così una sua collaboratrice, che aveva appena finito il turno, aveva deciso di rientrare per non lasciare solo il titolare con un cliente così sospetto. Chissà se Matteo immaginava già quella sera di aggredire l’uomo che stava frequentando Marta.

Da martedì, il giorno dell’aggressione vera, a oggi, la famiglia Langero si è chiusa in un dignitoso silenzio nella casa di via Aliprandi a Conegliano. «Su questa storia non vogliamo più dire nulla» ha risposto la mamma, Loredana «chiediamo di essere rispettati». Quella di via Aliprandi, negli ultimi tempi, era diventata anche la casa di Marta (dopo la rottura con Matteo, e l’abbandono del loro appartamento di Colle Umberto) e della piccola di due anni. È in questo nido che mamma e figlia hanno trovato rifugio dopo la folle notte di martedì. Capelli chiari e lentiggini, pallida, 24 anni, trasmette un’idea di fragilità che lei stessa ha smentito superando, una dopo l’altra, una serie di prove terribili. Per prima cosa ha dovuto riconoscere il corpo del padre di sua figlia, Matteo, dopo il tragico suicidio dal viadotto dell’A27. Quindi, ancora sotto choc, mercoledì e giovedì si è precipitata a Pordenone, al capezzale di Giampy, con il quale si è sforzata di non parlare della tragedia, per non stressarlo. Meglio concentrarsi sul lavoro, e sulla pazienza che dovrà avere Gianpietro per tornare quello di prima. Quindi il Natale tra Pordenone e Conegliano, circondata solo da chi le vuole bene, e allo stesso tempo prendendosi cura della sua piccola, due anni appena. Marta domani è attesa da un’altra, delicata prova: i funerali del padre di sua figlia, allo stesso tempo una persona che ha amato e un uomo capace di dirle «Ti farò qualcosa che ti ricorderai per sempre». Parole che aveva confidato alle forze dell’ordine, ma senza una denuncia vera e propria. Una macabra promessa, rispettata.

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