«Quei due titoli sbagliati sono uno sfregio a Gianni»

«Non è accettabile. Lo dico per Gianni prima che per me, una mostra non può modificare il titolo delle opere in questo modo, si vive meno al rispetto di un’opera d’arte».
Edda Perdicaro, seconda moglie di Gianni Ambrogio (all’anagrafe Ambroggio, nella natia Calabria) notissimo pittore trevigiano, non nasconde la sua rabbia.
E’ andata a vedere nei giorni la mostra dedicata al suo ex marito al museo Bailo, che è una delle tre che rendono omaggio al grande artista (le altre sono a casa Robegan sempre in città, e a Mareno di Piave, nella sede della fondazione intitolata al pittore), con il suggestivo titolo “Il selvaggio raffinato”.
Ha ammirato i quadri, ma non ha fatto molto caso ai titoli e alle didascalie. «Del resto, avendo vissuto quasi 30 anni con Gianni, le conoscevo benissimo, e potete ben capire cosa sia stato per me rivedere le opere che avevo visto nascere dal genio e dal talento di Ganni».
Poi, acquistato il catalogo e tornata a casa, lo ha sfogliato ed è rimasta incredula. «Non potevo credere ai miei occhi: l’opera “In attesa del medico”, così come era stata catalogata nel 1981, nella straordinaria mostra a Ca’ da Noal che fu anche l’ultima prima della chiusura del palazzo, nasceva da una precisa esperienza di vita di Gianni, nel periodo in cui suo padre era ricoverato: ma era diventata “Ricordando”», dice, «Uno sfregio, mi verrebbe da dire un insulto, perché l’opera nasceva da un preciso contesto biografico, che posso ben testimoniare avendolo vissuto al fianco di Gianni, con cui ho vissuto dal 1965 al 1991. Mi ha anche stupito che il quadro, che sapevo essere stato donato da Gianni ai figli, risulti ora di proprietà della donna al fianco di Gianni dopo di me. Ma su questo non voglio nemmeno entrare, resto sul piano della correttezza storica e della critica artistica, del rispetto a quella che è stata una grandissima carriera artistica e anche alla sua vita».
Ma c’è un altro caso, ancor più delicato, perché riguarda direttamente Edda Perdicaro. «C’è il quadro che immortala me, quando attendevo mio figlio Davide», spiega, «e che è sempre stato catalogato come “Maternità 1978- spiaggia al tramonto ”. Ora diventa “Fuga sulla sabbia”, titolo che non sta né in cielo né in terra, è una vergogna nei confronti di Gianni e anche della sua vita, e aggiungo pure della mia e di mio figlio».
La donna si è sfogata su facebook, in maniera molto esplicita. E il caso è immediatamente rimbalzato nell’ambiente artistico e culturale trevigiano, creando non poco imbarazzo.
La mostra una e trina di Ambrogio è curata da Maurizio Pradella, per 40 anni amico e sodale di Ambrogio. Per l’occasione, nella sede della Fondazione Ambrogio, a Mareno, in piazza Municipio, ha esposto una serie di incisioni inedite dell’artista, uno dei grandi motivi di interesse della triplice mostra, che rientra nel più vesto progetto dell’assessorato ala cultura di onorare i grandi artisti trevigiani del Novecento. Ognuna delle tre esposizioni punta ad illustrare una fase della produzione di Ambrogio, artista che sfugge a ogni facile definizione per il suo continuo esplorare e sperimentare stili, codici, linguaggi e tecniche. La critica riconosce ora a Sandro Gazzola (presente con un saggio nel catalogo), una nuova e suggestiva lettura complessiva dell’opera di Ambrogio, in grado di affrontare un autore impervio come un sesto grado. Nel catalogo ci sono anche contributi di Eugenio Manzato, Gian Domenico Mazzocato ed Emilio Lippi.
Andrea Passerini
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