«Porto gli emigrati a vedere le terre d’origine E i loro nipoti nei Paesi che accolsero i nonni»
la ricercatrice
Nasce a Castelfranco un nuovo tipo di turismo, quello genealogico, ovvero il turismo delle radici, degli antenati, delle proprie origini. L’idea, che in Europa ha pochissimi precedenti, è di Catia Dal Molin, una ricercatrice italo-brasiliana di quarta generazione, nata nel sud del Brasile, con trisnonno di Castello di Godego, da 15 anni residente nella Castellana. «Il turismo genealogico - spiega - è una nicchia di quello culturale ed ha una sua interessante collocazione al fianco di quelli religioso, patrimoniale, educativo, gastronomico ed antropologico. Ci sono milioni di persone nelle Americhe ed in Australia - aggiunge Catia - che discendono da immigrati italiani ed in particolare veneti. La stragrande maggioranza di loro non conosce nemmeno il nome dei paesi da cui partirono i loro antenati e, comunque, non ha mai visitato la terra delle proprie origini. Oggi in molti sentono l’esigenza di vedere con i propri occhi questi luoghi».
La ricercatrice castellana a questi particolari turisti non propone, quindi, uscite guidate a piazza San Marco, a Rialto, all’Arena di Verona, alla cappella degli Scrovegni, e nemmeno a Cortina d’Ampezzo o ad Aquileia. Niente musei famosi o interessanti mostre di dipinti. «La mia proposta culturale è ben diversa - ribadisce - Si andranno, infatti, a visitare le chiese dove gli antenati sono stati battezzati, i luoghi che, nella loro giovinezza hanno frequentato; se esistono ancora, le case dove sono nati i progenitori, le campagne che hanno coltivato, insomma i posti dove hanno vissuto. E se le ricerche che effettuerò lo renderanno possibile i più fortunati potranno magari conoscere dei loro parenti lontani».
Questo modo di viaggiare vuole valorizzare luoghi e località meno turistiche e famose: le piccole realtà, i vecchi borghi, a volte semi abbandonati e dimenticati dal tempo. «Si tratta di un turismo - spiega Dal Molin - di vere emozioni, che dà un senso alla propria esistenza, alla propria storia. In molti, dopo un’esperienza così coinvolgente, riscoprono l’importanza dell’appartenenza ad un luogo, ad una città, ad un paese, ad un popolo e sentono profonda gratitudine verso chi è venuto prima di loro».
L’operatore turistico del settore genealogico, per forza di cose, deve avere la passione per la ricerca storica e grande conoscenza del territorio. Gli archivi parrocchiali, delle anagrafi comunali e quelli catastali sono sicuramente grandi fonti di notizie per Catia e per chiunque altro volesse immergersi in questo mondo del passato, che però diviene linfa vitale per tanti discendenti dei nostri emigrati sparsi in tanti Paesi del mondo.
Ma il settore del turismo genealogico può avere anche un ulteriore sviluppo. Centinaia di migliaia di veneti lasciarono, nel corso di un secolo e mezzo, le loro terre e le loro case in cerca di fortuna in continenti lontani. Molti, con grandi sacrifici, centrarono, almeno parzialmente, il loro obbiettivo e non tornarono più nella terra di origine; tanti altri, invece, dopo un’esperienza durata vari anni, furono vinti dalla nostalgia e rientrarono. «Ebbene - sottolinea la ricercatrice - alcuni dei loro discendenti vorrebbero ora visitare le località dove emigrarono temporaneamente i loro nonni e bisnonni, molti dei quali avevano raggiunto all’inizio del Novecento il sud America, in particolare, l’Argentina ed il Brasile, ma anche gli Stati Uniti, il Canada e, nell’ultimo Dopoguerra, il Venezuela».
Il Paese che Dal Molin conosce meglio è il Brasile, perché è lì che emigrarono i suoi progenitori. «Soprattutto nelle regioni del sud - sottolinea - la grande maggioranza della popolazione discende da emigrati italiani, in particolari veneti e lo si può anche intuire dalla loro parlata, oltre che dalla struttura e dai nomi dei paesi in cui vivono. Ci sono tanti giovani che hanno voglia ed interesse di conoscere le proprie origini e radici. Proprio per questo credo che, in un prossimo futuro, il turismo genealogico possa avere grandi possibilità di sviluppo ed il Veneto sarà una delle mete più gettonate».
La ricercatrice di Castelfranco, che è laureata in Storia, ha insegnato all’università brasiliana di Santa Maria, ha collaborato con radio e giornali locali, oltre che con associazioni italiane fondate in Brasile. È autrice del libro “Senza ritorno: l’emigrazione italiana in Brasile” e curatrice di vari volumi quali “Ti tasi sempre, ti parli mai”; “Merica, Merica, Merica, basta de miseria”; “150 anni di immigrazione italiana in Rio Grande do Sol.” —
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