«Pietà per le vittime di allora e di oggi»

VAZZOLA. «Pietà per i morti di allora e pietà per i morti di oggi». Così monsignor Romualdo Baldissera, 94 anni, il cappellano di Oderzo che allora, a fine aprile 1945, benedisse le vittime della strage, commenta la morte di Adriano Venezian, nome di battaglia “Biondo”, comandante della brigata "Cacciatori della pianura". Furono 120 i morti di quella strage, i cui responsabili vennero riconosciuti dal Tribunale di Velletri, il 16 maggio 1953, nelle persone di Adriano Venezian, Giorgio Pizzoli (Jim), Gino Simionato (Bozambo), Attilio De Ros (Tigre), Diego Baratella (Jack). Furono condannati per omicidio aggravato e continuato a pene tra i 24 ed i 30 anni. Scontarono 5 anni e nel 1957 la Corte d'appello di Roma estinse per amnistia i reati in quanto commessi in "lotta contro il fascismo". Insomma, era guerra.
Umberto Lorenzoni, presidente provinciale dell’Anpi, è stato amico e compagno di Venezian. «Posso testimoniare che ‘Biondo’ non era assolutamente presente ai tragici fatti tra il 30 aprile ed il 15 maggio. Si trovava lungo la linea difensiva del Piave per impedire che i tedeschi potessero organizzare la resistenza lungo quella linea, precisamente nella zona fra Cimadolmo e Maserada. Al processo, però, riconobbe la responsabilità politica di quanto accaduto come comandante della brigata». Per Lorenzoni, la memoria del ’Biondo’ resta indelebile, per tutti quei valori che sono certificati dalla Medaglia d’argento al valore della Resistenza che gli è stata riconosciuta e che verranno ricordati questa mattina, a Vazzola, a margine del rito funebre nella chiesa del paese che si svolge alle ore 10. Negli Anni 50, tra l’altro, Venezian è stato con Boldrini in Russia per chiedere al governo che fossero restituite all’Italia le salme dei nostri soldati.
«Pietà per tutti, sicuramente» commenta l’ex sindaco di Oderzo, Giuseppe Covre, che in vario modo si è occupato di quella tragica vicenda «ma la verità va riconosciuta senza nascondere nulla, così come l’ha accertata il tribunale. Senza verità, infatti, non vi può essere riconciliazione, semmai sarà possibile». E nel caso di Oderzo questa non si è ancora verificata: «Chissà mai se sarà possibile». Don Romualdo ricorda bene la drammatica circostanza. Erano i giorni immediatamente successivi al 25 aprile 1945. Il Collegio Brandolini accoglieva un gran numero di ufficiali dell'esercito repubblichino. «I partigiani ci dissero che li avrebbero portati oltre il fiume Piave, dove sarebbero stati più sicuri. Li salutai in piazza, erano stipati sulle camionette, fra questi anche diversi ragazzi giuliani fuggiti dal regime di Tito» spiega monsignor Baldissera «venimmo a sapere che erano stati fucilati sul greto del Piave, solo uno si salvò. Qualche tempo prima erano stati fucilati tredici fascisti. Fui incaricato di seppellirli. Mi ritrovai al cimitero, eravano soltanto io e il becchino. Solo noi due, con quei tredici morti, accatasti l'uno sull'altro». Raffaele Zanon, ex assessore regionale, è oggi dirigente nazionale dei Fratelli d’Italia. Risiede a Padova, ma Oderzo è una storia che l’ha sempre macerato: «Chi ha sparato ha sulla coscienza tutti questi morti. Ma se li porta appresso anche chi si è assunto la responsabilità politica, quindi anche morale. Le ferite sono così profonde che non so se si potranno rimarginare. Almeno, però, si faccia opera di verità ed anche gli ex partigiani diano il loro contributo in questo senso». Su quanto accaduto ad Oderzo ed in riva al Piave il regista Antonello Belluco girerà un film. L’anno scorso, quando ha mandato sugli schermi «Il segreto di Italia», ricostruzione della strage di Codevigo, le polemiche del popolo della Resistenza furono immediate. Accadrà sicuramente altrettanto – è da metterlo in conto - con il prossimo appuntamento. «Non permetteremo però a nessuno di speculare» mette le mani avanti Lorenzoni. Stamattina intanto ci sarà l’addio ad Adriano Venezian, morto a 93 anni, che dell’Anpi è stato vicepresidente provinciale, sempre presente agli appuntamenti più importanti per celebrare i valori della Resistenza di cui è stato protagonista. Della Seconda Guerra mondiale ha vissuto i momenti più intensi: la prigionia nelle mani dei nazisti e poi la fuga, le torture inflitte alla moglie a Conegliano dalle brigate nere, e laResistenza.
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