Mauro, che fa bagni nel Piave da più di 50 anni: «Salvai un bimbo, ora do consigli agli altri»
A Fagarè c’è chi prende il sole e si tuffa dove ha perso la vita il 21 enne. L’appello di Zaia: «Bisogna rispettare regole e divieti». Il veterano: «Cerco di spiegare ai giovani inesperti che ci sono punti molto pericolosi»

«L’estate scorsa ho salvato un bambino di nove anni che stava annegando, giovedì ho rimproverato alcuni ragazzi che entravano in acqua in punti pericolosi. Il Piave va conosciuto, ci sono insidie. Qui io nuoto da più di 50 anni, ma solo dove vedo il fondo».
Mauro Vignotto, 58 enne mestrino trapiantato a Zero Branco, parla dal greto del fiume sacro alla patria, a Fagarè, al confine con Ponte di Piave. Si sofferma sul suo rapporto con il fiume, racconta anzitutto del suo pomeriggio da eroe, quando un anno fa tirò fuori dal Piave un giovanissimo in difficoltà: per giocare si era allontanato dalla riva, sfuggendo agli occhi dei genitori. «Un bambino non va mai perso di vista, a maggiore ragione qui sul Piave», ammonisce Vignotto, «riuscii a recuperarlo e riportarlo sulla spiaggetta di ghiaia, era spaventato».

San Biagio beach
È l’ora del pranzo, fa molto caldo: si superano i 30 gradi. A pochi passi, il luogo della tragedia. Il punto in cui mercoledì Dennys Navas, 21enne di Prata, ha chiuso gli occhi per sempre: un tuffo fatale.
Due giorni dopo, i bagnanti del Piave sono pochi: con certe temperature, pure qui è difficile garantirsi un po’ di refrigerio. Qualcuno in acqua ci va comunque, non sapendo – o fingendo di non sapere – del dramma di 48 ore prima. Altri preferiscono dedicarsi al picnic o prendere il sole. Il Piave non è balneabile, ma c’è chi, incurante, il bagno lo fa da una vita.
Venerdì l’appello l’ha lanciato anche il presidente regionale Luca Zaia: «Evitate la balneazione dove è proibito, chiedo responsabilità e rispetto delle regole. Responsabilità, perché metti a rischio la tua vita. Rispetto delle regole, perché diventi un problema anche per chi viene a salvarti».
A Fagarè si organizzano con sedia sdraio, tenda, ombrellone. C’è un gruppo di stranieri, attrezzati con panca per il pranzo, ma preferiscono non essere disturbati. C’è una coppia mestrina: Mauro Vignotto e Silvia Bertato.
«Vengo qui da quando avevo cinque anni, mi sento a casa», prosegue Vignotto, «so della tragedia dell’altro giorno, credo che il ragazzo purtroppo non conoscesse bene questo fiume. Il bagno? Sì, continuo a farlo, ma solo dove tocco e mi sento sicuro. Non ho timori, nuoto qui da una vita. So dove andare, è un fiume insidioso: ci sono le correnti, ci sono le buche. Mi rivolgo ai giovani: bisogna essere prudenti e prestare molta attenzione, non avventurarsi dove l’acqua è fonda. Ci vuole testa, come in tutte le cose. Perché sul Piave? C’è più tranquillità rispetto alla spiaggia di Jesolo. Solo però durante la settimana, altrimenti anche qui trovi tanta gente. L’escherichia coli? Trovo l’acqua pulita».
I pericoli
Proprio giovedì, il giorno dopo la morte di Navas, Vignotto ha richiamato alcuni ragazzi: «Ho spiegato loro di allontanarsi da un punto critico perché più profondo. Per quanto possibile, conoscendo il Piave da sempre, cerco di spiegare ai giovani quali siano i rischi. Il fiume non è il mare».
Accanto Silvia Bertato, 54enne mestrina, annuisce: «La pericolosità del Piave è nota, la corrente è il rischio vero. La tragedia di mercoledì? Forse il ragazzo si è fatto prendere dal panico, ci sono punti in cui non devi andare. Lì dove la profondità è maggiore».
Lisa è invece della zona. Si sposta qui dopo pranzo, forse immagina di sentirsi al mare: «Solo a metà settimana, nel weekend trovi il pienone. Ti pare Jesolo. Se però entri in acqua, devi vedere cosa c’è sotto. Il pericolo è trovare rami e rimanere impigliati». San Biagio beach rimane meta irrinunciabile per gli affezionati del Piave. Anche se lì, appena 48 ore prima, un ragazzo è morto annegato.
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