Parto in ambulanza, muore il bimbo

Coppia coneglianese fa causa all’Usl 7 chiedendo un risarcimento: «Avevamo diritto a un trattamento migliore»

Ha partorito in ambulanza un feto di 24 settimane, che dopo qualche giorno di incubatrice non è riuscito a sopravvivere. Al momento del parto, era in autostrada in direzione Verona, dove un ospedale si sarebbe preso cura di lei e del suo piccolo. Una vicenda drammatica, che risale al maggio del 2012, e che giovedì mattina ha vissuto la prima tappa di quella che rischia di essere una lunga e dolorosa battaglia legale.

In tribunale a Treviso era in agenda la mediazione tra l’avvocato della famiglia e l’Usl 7: secondo i legali della coppia, l’ospedale di Conegliano (cui la donna si era rivolta nelle ore precedenti il parto) non avrebbe erogato un servizio all’altezza delle esigenze della paziente. La compagnia assicuratrice dell’ospedale, per contro, il 30 dicembre aveva respinto il sinistro, non rilevando alcuna negligenza nell’operato dei medici. Sfumato il primo tentativo di mediazione, il legale della donna (l’avvocato coneglianese Barbara Lenisa) ha annunciato l’avvio di una causa di risarcimento. Una vicenda delicatissima e toccante, che ha segnato le vite della coppia (mamma e papà poco più che trentenni).

La gravidanza della donna, infatti, è complicata sin dai primi momenti. La donna aspetta due gemellini, ma già dalle prime ecografie, i medici si accorgono che uno dei due feti non cresce come dovrebbe. Dopo vari consulti, comprese alcune visite in un ospedale milanese, e nella sofferenza di una decisione drammatica, la coppia è costretta a una tragica “scelta”: è possibile portare avanti la gravidanza di un solo gemello, quello con più chances di sopravvivere rispetto al fratellino. In questo caso, una bambina. Una situazione non priva di rischi: i medici milanesi spiegano alla donna che, in casi come questo, è purtroppo concreto il rischio di un aborto. La donna ritorna a casa, con la raccomandazione di farsi controllare in modo approfondito.

Si arriva così alla tragica serata del 30 maggio 2012. La donna si sente male, e corre al pronto soccorso più vicino a casa, quello di Conegliano. Viene visitata anche nel reparto di Ostetricia, dove vengono effettuati tutti gli esami necessari. Quindi, le dimissioni dall’ospedale. Durante la notte la situazione sembra aggravarsi, e il mattino seguente la donna si ripresenta al Santa Maria dei Battuti. Ma il destino ha stabilito che quella mattina, con un feto di sole 24 settimane in grembo, è il giorno del parto. Le condizioni della bambina sono delicate. Per assisterla al meglio, serve una struttura di eccellenza, che viene individuata in un ospedale veronese. Immediatamente, la donna è caricata sull’ambulanza, con ostetrica e ginecologa, ma mentre sta raggiungendo l’ospedale, e si trova ancora in autostrada all’altezza di Padova, partorisce. La bambina, nata ad appena 24 settimane, lotta per pochi giorni, protetta dall’incubatrice, ma alla fine non sopravvivrà. Per la mamma, uno choc difficilmente superabile. Da quel momento, inizia il tempo delle domande. Secondo il legale della mamma, la donna avrebbe dovuto ricevere un trattamento sanitario migliore in Ostetricia, a Conegliano. A prescindere dalle possibilità di sopravvivenza del feto, già molto debole e con gravi malformazioni, prematuro al momento del parto, la signora secondo l’avvocato Lenisa andava assistita meglio, e nel caso qualcuno abbia sbagliato, devono essere presi provvedimenti disciplinari.

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