Operaio ruba legna per necessità L'azienda perdona, il giudice no

Conegliano, condannato un operaio che si era portato a casa della legna malgrado l’azienda avesse ritirato la denuncia per furto

CONEGLIANO. Un boscaiolo “infedele” si porta a casa un po’ di legna aziendale per scaldare l’abitazione in cui vive. L’azienda lo licenzia e lo querela, ma poi fa marcia indietro e ritira tutto. Quando la vertenza sembra chiusa con una stretta di mano, dalla Procura arriva la stangata: un decreto penale di condanna con una pena pecuniaria di 25 mila euro. «Una beffa e un caso di malagiustizia» secondo Cgil, l’inizio di una lunga vertenza giudiziaria per l’operaio, che non si aspettava che un gesto compiuto in buona fede potesse costargli tanto caro. I fatti contestati al lavoratore risalgono al 14 e al 17 marzo 2014, al termine dell’orario di lavoro (poco dopo le 17).

L’uomo è un quarantenne macedone che da tre anni lavora per una piccola società di commercio all’ingrosso e al dettaglio di combustibili solidi e liquidi, di legname da lavoro e di impresa boschiva. Nel marzo 2014 sta lavorando, con la sua qualifica di boscaiolo, alla pulizia di un’area a ridosso dello svincolo dell’A27 a Conegliano. Il 18 marzo l’azienda gli recapita una lettera di licenziamento perché «è stato visto scaricare dal mezzo aziendale a lui affidato e presso la sua abitazione ingenti quantità di legna già tagliata e preparata in pezzi, legna che poi ha provveduto con l’aiuto di terze persone a portare all’interno della sua abitazione».

Sembra un furto in piena regola, ma poi interviene l’ufficio vertenze di Cgil a fare chiarezza sulla vicenda. Si scopre, per prima cosa, che il legname portato a casa è costituito da residui e avanzi della legna tagliata nel cantiere, il cui valore commerciale è quasi insignificante. Soprattutto, viene fatto notare al titolare della ditta che le «terze persone» che hanno aiutato l’uomo a trasportare la legna dentro casa sono suoi colleghi, dipendenti della stessa società, che però non hanno subito alcun licenziamento. Eppure, anche loro abitano nella stessa abitazione (di proprietà del titolare dell’azienda), e utilizzano quella stessa legna per scaldarsi. Infine, Cgil collega la lettera di licenziamento recapitata al solo operaio macedone a un vecchio infortunio di quest’ultimo, causato dalla mancata osservanza delle regole antinfortunistiche da parte del datore di lavoro. L’azienda a questo punto fa marcia indietro, e ritira la querela per furto. Per il licenziamento, si accorda con l’uomo: il contratto viene rescisso bilateralmente, con una buona uscita per il lavoratore di qualche mensilità. Non fa marcia indietro, invece, la Procura, che procede d’ufficio notificando al lavoratore la beffa. Ad aprile di quest’anno, quando il macedone sta già lavorando in un’altra società, ecco il decreto penale e i 25 mila euro da pagare.

«Non si capisce che senso abbia che la Procura intervenga, e in modo così spropositato, su una vicenda già ricomposta» denuncia Nicola Atalmi, Cgil Sinistra Piave. «Il lavoratore vincerà senz’altro in tribunale, avendo dalla sua parte il ritiro della querela, ma intanto dovrà sostenersi le spese legali per un avvocato. Con tutti i ladri e i corrotti che ci sonno da perseguire anche dale nostre parti, perché la giustizia penale rincorre un caso del genere?». (a.d.p.)

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