Oderzo, medico di guardia intervenuto in ritardo: assolto in Cassazione

ODERZO. Quel pomeriggio di 7 anni fa una dottoressa che svolgeva servizio come guardia medica ad Oderzo arrivò tardi a casa di un paziente colpito da un ictus, dopo aver inizialmente tergiversato sostenendo che non era nelle sue mansioni quel tipo di soccorso che richiedeva altro tipo di personale.
Il fatto innescò un processo che vide la guardia medica, A.F., 45 anni, condannata in primo grado a 6 mesi per rifiuto di atti d’ufficio. Pena ridotta in Appello a 4 mesi di reclusione. Nei giorni scorsi, però, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza d’Appello senza rinvio perché il fatto non sussite, affermando che la dottoressa aveva operato secondo coscienza e diligenza.
Il fatto risale al primo pomeriggio di un giorno d’autunno del 2012 quando al 118 giunse la richiesta di un intervento di soccorso per un sospetto ictus. In quel momento, il 118, non riuscendo a convogliare in tempi brevi un mezzo di soccorso verso l’abitazione dell’anziano malato, raggiungeva telefonicamente la continuità assistenziale della zona in modo che l’operatore in servizio potesse recarsi lì in tempi realisticamente più brevi dell’autoambulanza.
A questo punto, la guardia medica in servizio avrebbe, secondo il tribunale, tardato senza giustificazione il suo arrivo presso l’abitazione del paziente, giungendovi dopo l’ambulanza, che nel frattempo era riuscita ad arrivare e a trasferire il malato al pronto soccorso di Oderzo. La questione in punto di diritto consisteva nell’accertare se rientrasse o meno, tra i compiti del medico di continuità assistenziale, intervenire in una situazione di estrema gravità relativamente alla quale, però, non disponeva delle misure tecniche per apprestare cure adeguate, essendo necessario il ricovero.
Dopo una parziale riforma operata nel 2018 dalla Corte di Appello di Venezia, la quale aveva concesso all’imputata le circostanze attenuanti generiche diminuendo la pena da sei a quattro mesi di reclusione – si è giunti alla decisione della Cassazione, che lo scorso 18 giugno ha accolto la tesi dell’avvocato Luigi Fadalti, difensore del medico, e annullato senza rinvio la sentenza della Corte veneziana perché il fatto contestato alla dottoressa non sussiste, affermando che il medico aveva operato secondo coscienza e diligenza.
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