Obbligati a mettersi in quarantena dopo il viaggio in patria, dipendenti sanzionati dai titolari

Atalmi: «Procedimenti contro gli stranieri che, al rientro dall’estero, rispettano 14 giorni di isolamento»

TREVISO. Alcune aziende trevigiane stanno sanzionando i loro dipendenti stranieri che, al rientro in Italia da un viaggio nel Paese d’origine, si mettono in quarantena 14 giorni, rispettando le normative in vigore. Un periodo che l’Inps riconosce come malattia, e che quindi non comporta alcun esborso per l’azienda, a parte il disagio di non avere a disposizione il collaboratore.

Eppure gli imprenditori non si fidano e, secondo l’allarme lanciato da Cgil Treviso, sempre più spesso sanzionano, con giorni di sospensione della paga, i loro addetti, la cui “colpa” sarebbe quella di violare la correttezza nel rapporto di lavoro, non rientrando in azienda dalle ferie il giorno previsto. Cgil chiede alle associazioni di categoria di trovare un accordo, perché i 14 giorni di quarantena sono un obbligo di legge.

I casi concreti

Nella Marca sono oltre quarantamila i lavoratori stranieri. I casi di sanzioni post-quarantena segnalati da Cgil riguardano soprattutto dipendenti di rientro da Senegal, Nigeria e Pakistan, con un caso anche a carico di una badante ucraina. Per la maggior parte si tratta di operai tessili e meccanici, o comunque operai dell’industria manifatturiera, pochissimi casi invece nell’agricoltura, che pure è un comparto ad alto tasso di addetti stranieri. Persone che chiedono ferie per rientrare nel loro Paese, molto spesso per eventi come funerali, nascita di un figlio, documentazione da reperire.

E che al rientro rimangono in quarantena per due settimane. Le reazioni dei titolari? «Si va dal richiamo scritto a una giornata di sospensione della paga» chiarisce Atalmi, «in altre regioni si è arrivati al licenziamento, qui per fortuna non ancora. Cerchiamo sempre di trattare con i titolari, ma queste sanzioni sono discutibili sia dal punto di vista politico e sindacale sia dal punto di vista giuridico. Finora è accaduto in realtà strutturate, con rappresentanza sindacale, ma è possibile che accada anche nelle aziende più piccole e che a noi non arrivi la comunicazione».

Il braccio di ferro

«Finora abbiamo risolto questi casi evitando la sanzione o accettandola, non abbiamo mai impugnato la decisione dell’impresa» continua Atalmi, «non siamo ricorsi all’Ispettorato del Lavoro né al Giudice del Lavoro, vogliamo trovare un accordo con l’azienda. Per questo vorrei proporre alle associazioni di categoria di discuterne e trovare il modo di evitare questi problemi, dal punto di vista formale gli imprenditori hanno ragione, ma ci sono due interessi contrapposti, non bisogna negare al dipendente la possibilità di avere delle ferie o di sbrigare delle faccende nel suo Paese. Siamo in un momento storico eccezionale, che richiede uno sforzo di buon senso in più da parte di tutti. Siamo sempre disponibili per risolvere queste faccende senza arrivare allo scontro, ci auguriamo che anche le nostre controparti facciano altrettanto». —



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