«Non volevo che mio figlio viaggiasse con Farid»

Il papà di Alessandro Vidotto: «Santarossa aveva la fama di essere spericolato». I due amici erano attesi a un compleanno a Sacile, poi l’incidente a Vallonto
A sinistra Farid Santarossa e a destra Alessandro Vidotto
A sinistra Farid Santarossa e a destra Alessandro Vidotto

GAIARINE. «Se avessi saputo che Alessandro saliva in moto con lui gli avrei detto di non uscire:quel ragazzo aveva la fama di essere spericolato». Nisco Vidotto, papà di Alessandro, il 32enne morto nell'incidente di Vallonto insieme a Farid Santarossa, non vuole puntare il dito contro nessuno. Ma le sue parole sono dettate dal comprensibile dolore per aver perso il figlio in un modo così tragico.

«Anch'io avevo una moto da giovane», confida il papà di Vidotto, «ma un conto è andare da soli, e si può fare quello che si vuole, un altro avere qualcuno con te». Alessandro si era incontrato con Farid al bar alla Pesa di Francenigo. Lì il 32enne aveva lasciato il suo scooter, insieme erano poi andati via con la Ducati Monster di Farid. Dovevano andare a un compleanno di un amico a Sacile, cosa sia avvenuto sabato notte e dove fossero diretti non riescono a spiegarselo nemmeno gli amici.

Alessandro Vidotto lavorava nell'officina di famiglia ad Albina, era installatore specializzato di robot da giardino. Lascia anche la mamma Donatella, le sorelle Laura e Manuela e il fratello Riccardo. Un gran lavoratore, con la passione per la pesca e il calcio, tifoso dell'Inter. Il lutto li accomuna alla famiglia Santarossa. Farid viveva a Calderano in via I Maggio, con il papà Sante, a fianco gli zii Ivano e Paola ed i cugini Debora ed Elvis a cui era molto legato. «Un funerale congiunto per ricordarli insieme», è la proposta che arriva dalla cugina Debora, che esprime il cordoglio verso la famiglia Vidotto. Sarà lutto cittadino.

Farid e Debora Santarossa sono cresciuti insieme, quasi come due fratelli. «Gli avevo fatto le solite raccomandazioni, ma lui non ascoltava», racconta in lacrime la cugina, «Farid era un ragazzo buono, ma era fatto così, spavaldo, ha sempre avuto la passione della moto, è morto per la sua passione». La Ducati Monster era tutta la sua vita. L'aveva da tre anni, la portava anche in camera, come una “fidanzata”. In passato invece aveva fatto gare di motocross, partecipando al campionato Triveneto. Il ventiquattrenne, operaio alla Corazza Benne, era «un “matto buono”, scanzonato, ironico e sempre con il sorriso», lo ricordano gli amici.

Quando un anno fa aveva rischiato di distruggere il motore della sua Ducati, aveva incolpato i progettisti. «Ingegneri strapagati che posizionano il pesco olio frontale e quando impenni l'olio non circola», scriveva il giovane centauro, «di conseguenza col passar del tempo pianti tutto. Bravi, bel lavoro di progettazione». Oppure scherzava quando pubblicava le foto del sequestro che aveva subito dai carabinieri, che gli avevano portato via la sua Ducati. Poi però l'ha riavuta, fino al “tradimento” di sabato, quando la Monster, con a bordo i due gaiarinesi, è finita dritta sulla provinciale a Vallonto di Fontanelle. I motivi dovranno essere accertati dalla polizia stradale.

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