"Non voglio che mi ammazzi". Donna si barrica in tribunale a Treviso

CONEGLIANO. «Ho paura che mi faccia ancora del male, mi sento in pericolo di vita». Olga Pastore, un’infermiera cinquantenne che abita in un paese del Coneglianese, è terrorizzata dall’ex marito. Ieri si è barricata nel tribunale di Treviso, dopo che è stato annullato il divieto di avvicinamento nei confronti dell’uomo, a causa di un cavillo formale.
Il provvedimento emesso dal giudice di Treviso è infatti stato revocato dal Riesame perché non era stato tradotto in egiziano, la lingua madre del 33enne, che da un anno e mezzo vive in Italia. L’infermiera aveva dovuto cambiare luogo di lavoro, spaventata di trovarselo davanti. Era stata costretta a fuggire dalla sua casa. «Una volta mi ha puntato il coltello alla gola davanti a mio figlio, ha spinto e messo le mani addosso anche mio figlio di 12 anni – racconta la donna, disperata -. Mi insultava, mi sputava, mi lanciava oggetti, mi ha tagliato i capelli, mi diceva “ti ammazzo se ti permetti di parlare con qualcuno”. Lo faceva perché voleva soldi da me. E adesso, perché non è stato tradotto un documento, lui può di nuovo avvicinarsi, io mi sento in pericolo».
La prima denuncia la donna l’aveva presentata a febbraio ai carabinieri. Così è stato aperto un fascicolo per atti persecutori. «In quel periodo sono stata costretta a scappare di casa, insieme ai miei figli (è madre anche di una ragazza disabile ndr) – afferma Olga -. Per tre mesi e mezzo ho dovuto nascondermi in un’altra casa. Lui era venuto anche dove lavoravo e così l’Ulss mi ha trasferito».
A fine maggio è stato emesso un provvedimento di allontanamento cautelativo dal tribunale di Treviso. La carta però non è stata tradotta in egiziano e così il tribunale di Venezia ha accolto l’istanza presentata dall’avvocato difensore. «Mi sono rivolta a Questura, Provincia, ora non mi muovo dal tribunale, io mi sento in pericolo di vita – spiega Olga -. Non voglio aspettare che questo soggetto mi ammazzi, come è già successo a tante altre donne. Non è possibile che debba vivere con l’incubo di essere accoltellata, la giustizia è lenta, non posso aspettare anni».
Così ieri è rimasta l’intera giornata nel palazzo di giustizia. «Lo conoscevo da dieci anni, ci siamo sposati a Il Cairo nel febbraio dell’anno scorso, si era sempre comportato bene ed era amorevole – ricorda -. Dopo che è arrivato in Italia ed ha avuto il permesso di soggiorno si è trasformato. Ho subito violenze sia verbali, fisiche che psicologiche. Ho anche denunciato che lui lavora in nero, ma nessuno dice nulla. E anzi beneficia di un gratuito patrocinio legale».
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