Morto Napolitano il magistrato dell’inchiesta “scandalo petroli”

È spirato ieri all’ora di pranzo, per una malattia inesorabile diagnosticatagli dopo l’intervento per la frattura del femore riportata in seguito a una caduta due mesi fa in una struttura di Quarto d’Altino . Felice Napolitano, “Picchio” da sempre per gli amici, aveva 86 anni. È stato uno dei magistrati più noti della città, per la sua lunghissima esperienza al tribunale di Treviso, quasi mezzo secolo, culminata in 10 anni di presidenza del Palazzo di giustizia dal 1998 alla pensione. La sua inchiesta più famosa, da giudice istruttore, fu lo scandalo petroli, condotta insieme al collega Domenico Labozzetta alla fine degli anni ’70 . Ha affrontato la recentissima malattia con molto coraggio. Ed è stato un trevigiano adottivo innamoratissimo della città, amante dello sport. Era nato a Bengasi da genitori campani, trasferitisi a Treviso quando Felice era ragazzino. Dopo gli studi, l’ingresso in magistratura nel 1960. Prima è uditore a Venezia, poi passa a Padova, finché nel 1966 è nominato giudice delegato ai fallimenti nel palazzo asburgico di piazza duomo. Nel 1971 passa al penale ed è per lungo tempo giudice istruttore - famosissima appunto l'inchiesta petroli - in un periodo che vide il tribunale alla ribalta nazionale, non solo per quell’indagine.
LA MAXINCHIESTA
L’inchiesta a 4 mani con il collega Labozzetta, partita nel 1978 da un controllo fiscale nei confronti del petroliere trevigiano Silvio Brunello, consentì di far venire alla luce la scoperta di un contrabbando di greggio di vastissime dimensioni che coinvolse petrolieri, politici e vertici della Guardia di Finanza corrotti. E l’allora appena nata "tribuna di Treviso" con il cronista Raffaele Volonté diede per prima la notizia. La truffa all'Erario, quantificata in 2 mila miliardi di lire di allora, consistette nel mancato pagamento delle accise su una quantità di carburante pari al 20% del consumo nazionale. L'inchiesta coinvolse 18 magistrature e passò a Torino dove vennero indagate 184 persone. Il 30 aprile 1987 il tribunale piemontese condannò in primo grado gran parte degli imputati. Tra loro l'ex comandante generale del Corpo delle Fiamme Gialle Raffaele Giudice, piduista; il capo di Stato Maggiore Donato Lo Prete, anch'egli iscritto alla P2; il petroliere milanese Bruno Musselli; l'imprenditore rodigino Mario Milani. Venne assolto invece Sereno Freato, per anni segretario personale di Aldo Moro, così come non vennero provate le «protezioni politiche» sul contrabbando. Poi la riforma del codice Vassalli: dal 1989 al '93 è giudice per le indagini preliminari, quindi passa a pretore dirigente. Nel 1998, succedendo a Felice Casotto, diventa presidente del tribunale. Lascerà l’incarico nel 2008, per raggiunti limiti di età, in un mandato contraddistinto da un forte impegno e un grande attivismo per tutelare il tribunale di Treviso messo a dura prova dalla carenza di organici, dalla sperequazione fra carichi di lavoro e personale, ma anche dal problema della sicurezza (e si attivò con Comune e Provincia per garantire strutture e mezzi tecnologici, dopo un furto del bancomat interno, nell’atrio, che ebbe vasta eco).
LE SUE BATTAGLIE
Nel suo mandato da numero uno del Palazzo di giustizia affrontò anche uno sciopero durissimo degli avvocati trevigiani - una settimana , mai accaduto prima - in segno di protesta contro le lungaggini dei processi. «Capì le nostre ragioni», ricorda oggi l’avvocato Pietro Barolo, allora presidente dell’Ordine, «Come magistrato non posso che dirne bene, avemmo un rapporto ottimale, direi perfetto. Quello che Calamandrei auspicava quando diceva “la giustizia funziona se magistratura e avvocatura funzionano all’unisono, come il battito del cuore”». Fu uno degli esponenti più in vista di Magistratura Democratica. Tutti gli riconoscono grandi doti di equilibrio, una capacità di relazione che univa la cordialità al massimo rigore. E non è un caso che la sua presidenza sia ricordata con grandi attestati di riconoscenza dal personale, dagli avvocati, dalle forze dell’ordine.
LO SPORTIVO
Era un uomo che sapeva reggere fortissime pressioni come dimostrò durante le indagini sullo scandalo petroli, in anni non facili. Un giudice molto amato, che ha vissuto intensamente piazza e città, molto appassionato di sport: tennis, sci con il collega Antonio De Lorenzi, negli ultimi tempi la bici. E gli piaceva il rugby (per anni è stato presenza fissa a Monigo), sport praticato dalle figlie nelle “pioniere” Red Panthers, ma anche il calcio al Tenni. Lascia la moglie Anna (sposata in seconde nozze dopo essere rimasto vedovo della prima moglie, Mara, molti anni fa) e le figlie Antonella e Valentina, la prima medico a Londra, la seconda antropologa fra Usa e Canada, tre adorati nipoti, la sorella Annamaria, e il fratello Luigi, già ambasciatore in Africa e in Israele. I funerali martedì 7 gennaio alle 10 nella chiesa di San Bartolomeo. —
Andrea Passerini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso