Molesta la figlia del socio: condannato

Agli arresti domiciliari dopo una decina di fallimenti societari, molesta sessualmente la figlia sedicenne di un suo nuovo socio in affari, che era a casa sua per insegnargli a usare il computer. Torna alle cronache il nome di Roberto Coletto, “antesignano” della tangentopoli veneta: l’uomo, 64 anni, è stato condannato ieri a due anni di reclusione per violenza sessuale.
Una vicenda drammatica, come lo è stata la testimonianza resa ieri al collegio di giudici dalla giovanissima vittima delle violenze. I fatti risalgono alla fine del 2013. Coletto, agli arresti domiciliari per finire di scontare una pena di nove anni, ha allestito nella sua villetta di Breda di Piave uno studio. Lì cerca di gestire qualche affare, tentando di raddrizzare una carriera imprenditoriale segnata dai guai giudiziari. Conosce un imprenditore del settore dell’arredamento, non facciamo il nome per tutelare l’idendità della vittima delle molestie, ovvero la sua giovane figlia. Oltre a proporre di investire del denaro nell’attività dell’uomo, infatti, Coletto gli chiede di mandare la ragazzina a casa a insegnargli un po’ come gestire via mail i rapporto con clienti e avvocati. Siamo a luglio del 2013. «All’inizio erano solo complimenti», ha raccontato ieri la ragazzina, oggi diciassettnne, ai giudici, «come “sei bellissima”, “che bel fisico”, “sembri più grande”. Poi si è fatto sempre più insistente: mi chiedeva se ero fidanzata, mi invitava ad andare in camera sua». L’escalation non si è fermata, purtroppo: l’uomo, come denunciato dalla ragazzina, è arrivato «in tre occasioni» a palpeggiarla «sul sedere e sulle parti intime».
Il racconto della ragazzina è stato ritenuto credibile prima dal sostituto procuratore Francesca Torri, poi dal collegio giudicante: ieri per Coletto è arrivata la condanna a due anni per violenza sessuale. A convincere la giovane a denunciare quanto accaduto è stato il padre: «L’ho vista molto turbata, alla fine l’ho costretta a dirmi cosa avesse». Da lì la confessione, poi la denuncia.
La difesa di Coletto ha puntato sull’ipotesi che le molestie sessuali fossero un’invenzione, «un’architettura del padre contro il socio». La tesi non ha retto: ora non resta che il ricorso in appello per cercare di ribaltare la sentenza di condanna.
Coletto, in anticipo su Tangentopoli, svelò il sistema delle tangenti prima in Val Norcina e poi anche a Venezia. Successivamente ha accumulato una serie di condanne: «bancarottiere di professione», lo definì il pubblico ministero Iuri de Biasi. Nonostante fosse agli arresti domiciliari, nel 2008 fu sorpreso mentre continuava a operare come se nulla fosse grazie a telefoni, computer e fax, anche se gli era stato vietato. Tornò nel carcere di Santa Bona perché gli investigatori veneziani della polizia tributaria della finanza scoprirono che proprio dagli arresti domiciliari aveva diretto un’organizzazione ideata per acquisire e svuotare aziende, commettendo più bancarotte fraudolente. La perquisizione domiciliare delle fiamme gialle aveva permesso di scoprire che casa sua era stata trasformata in una vera e propria direzione aziendale con tanto di dipendenti.
Coletto ha cominciato come imprenditore edile, poi è passato al tessile, quindi si è mosso nel settore dei mobili e alla fine si è trasformato persino in produttore cinematografico con la “Bob Colet”, maccheronica traduzione hollywoodiana del suo nome. Le condanne non lo hanno fermato, mai: nonostante i ripetuti crac delle sue aziende, Coletto aveva addirittura ritenuto di poter dare suggerimenti preziosi per far decollare le società altrui.
Nel 2013, però, questo episodio ha innalzato pericolosamente il profilo criminale dell’uomo (salvo prova contraria in appello): nel mirino delle sue molestie, diventare vere e proprie violenze sessuali, è finita la sedicenne che ieri, in lacrime, ha vissuto la condanna del suo “orco” come una piccola-grande liberazione personale.
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