I nostri medici in prima linea: un giorno con gli angeli del Suem
Ogni giorno, il Suem 118 dell'Ulss 2 di Treviso gestisce centinaia di richieste di soccorso con professionalità e umanità: dal centralino alle ambulanze, medici e operatori seguono protocolli rigorosi per salvare vite umane. Ecco il nostro reportage
Suona libero, tempo di uno squillo e poi dall’altro capo del telefono si sente una voce: «Treviso Emergenza».
E allora si può ricominciare a respirare e il panico, piano piano, se ne va. Non sei più da solo, c’è un esperto formato che ti dice come fare, come mettere le mani, come praticare un massaggio cardiaco, come fare in modo che la persona che hai davanti continui a vivere, in attesa dell’arrivo dell’ambulanza.
Sono i nostri sanitari in prima linea, gli operatori del Suem 118 dell’Ulss 2 di Treviso. Medici, infermieri, operatori sociosanitari, autisti soccorritori che ogni mattina si svegliano e hanno una sola missione: salvare vite.
Eppure, nonostante indossino giubbotti giallo fosforescente e siano sempre pronti dall’altro capo del telefono, ci si accorge di loro solo nel momento del bisogno, quando la nostra salute o quella dei nostri cari è messa a repentaglio e ci si sente impotenti e incapaci di reagire. È in quel momento che si capisce che dietro ad una chiamata c’è molto di più di una voce.
«La telefonata è il risultato generato da un lavoro molto intenso: nulla viene lasciato al caso e nulla è lasciato all’improvvisazione», spiega Marialuisa Ferramosca, direttrice del Suem 118 Treviso, «chi risponde la telefono ha regole precise da seguire, delle domande specifiche da fare, sono procedure che portano all’attivazione dei mezzi e dell’equipaggio adatto per il singolo caso».
I numeri
Il Suem 118 è il servizio di urgenza ed emergenza medica che copre tutta la provincia di Treviso. La centrale operativa, che si trova a qualche centinaio di metri dall’ospedale Ca’ Foncello, gestisce tutte le richieste di soccorso che pervengono dalla popolazione della provincia e coordina tutte le ambulanze presenti sul territorio.
Sono oltre 50 mila le chiamate che, ogni anno, arrivano al centralino, mentre quotidianamente se ne contano tra le 350 e 400, che si traducono in 150 interventi al giorno, di questi una percentuale che oscilla tra il 5 e il 7% sono un codice rosso, interventi su persone in pericolo di vita.
A ruotarsi in tre turni giornalieri sono 105 operatori, la maggior parte infermieri e operatori sociosanitari, che si danno il cambio tra il servizio al centralino, il primo contatto con il paziente, e quello operativo sulle ambulanze insieme all’autista soccorritore.
Nei casi più gravi sono accompagnati da un medico anestesista rianimatore che li segue con un’auto medica.
«Treviso Emergenza è un sistema, un servizio fortemente articolato e complesso fatto di uomini e tecnologia», continua Ferramosca, «Il cuore del sistema è la centrale operativa dove vengono accolte le richieste di soccorso. La missione (cioè l’intervento) rappresenta l’anello finale di un’organizzazione che prevede un protocollo, regole, formazione, attenzione al benessere dell’operatore, e a lato, fondamentale è il supporto tecnologico dei sistemi informatici, grazie ai quali è possibile anche videochiamare l’utente in modo da guidarlo nelle prime manovre di soccorso».
La sala operativa
La sala operativa del Suem ha qualcosa di futuristico, c’è una parete tappezzata di monitor e poi circa una decina di postazioni, ognuna delle quali ha disposizione tre monitor. L’operatore li utilizza per localizzare il paziente, compilare la scheda in modo da acquisire tutte le informazioni necessarie per coordinare i mezzi che seguiranno l’intervento. Chi risponde al telefono è un infermiere, segue uno schema ben preciso per catalogare il tipo di intervento.
Ne abbiamo conosciuti diversi e hanno tutti una caratteristica comune: una voce calma e decisa.
Solo in questo modo l’utente si affida a loro completamente e questo aumenta in modo esponenziale le possibilità di sopravvivenza: «Tanto dipende da quello che riesce a fare l’astante», ci assicura Davide Casagrande poco prima di rispondere ad una chiamata, un codice rosso. Un uomo parla agitato: suo padre ha avuto un ictus, anzi no, in realtà non respira più: «Suo padre non respira più? Cominciamo con il massaggio cardiaco: una mano sopra l’altra al centro del torace», scandisce le parole, con tono fermo, «Schiacci forte e veloce: uno, due, tre, quattro. Lo faccia fino a quando non arriva l’ambulanza».
L’uomo ha continua così fino a quanto “Tango”, il mezzo di soccorso non è arrivato prendendosi carico del paziente.
Il servizio
«Dietro alla cornetta c’è una grande umanità, grande professionalità e grande propensione di aiuto verso gli altri», descrive il direttore generale dell’Ulss2 Francesco Benazzi, «Sono donne e uomini di eccellenza, persone altamente qualificate che sanno rispondere alle persone e sanno intervenire laddove c’è realmente bisogno».
A giorni entrerà in azione il videosoccorso: «Una telecamera inserita nella giacca per la valutazione e la trasmissione in centrale della tipologia di intervento da effettuare».
Essere professionisti dell’emergenza
Sono professionisti preparati, accomunati da profonda lucidità e un pizzico di cinismo, entrambe doti fondamentali per poter svolgere un lavoro come il loro che richiede tanto, tantissimo, ma che riesce a restituire tutto l’impegno con gli interessi, se lo si guarda dal punto di vista umano. Gli operatori «Per fare bene questo lavoro? Mai dimenticarsi della regola delle 2P: essere professionisti, ma anche persone umane».
Alessandro Chies è il coordinatore delle risorse del Suem 118, ogni giorno aiuta la squadra a garantire un servizio d’eccellenza. «Noi che operiamo in strada lavoriamo soprattutto secondo algoritmi, tecnicismi, adottiamo tutte le pratiche scientifiche, ma non dobbiamo dimenticarci che gli operatori sono delle persone umane, quindi hanno una loro storia, sono genitori, alcuni sono zii o nonni, e quindi a volte la difficoltà maggiore è scindere proprio il lato dell’essere professionista, ma anche quello dell’essere persona, perché la cosa fondamentale è riuscire a non portarsi a casa quello che succede in ambito lavorativo».
L’aspetto emotivo è uno dei fattori più impattanti nello svolgere questa professione, sia per quanto riguarda la mansione alla centrale sia quella dell’intervento su ambulanza: «Quando l’operatore interviene in strada o in abitazione non prova emozioni o crede di non provarle. Il problema emerge dopo l’intervento stesso in ogni caso, sia che l’esito sia stato positivo che negativo. Fortunatamente possiamo appoggiarci a un supporto psicologico per arrivare ad una riabilitazione positiva dell’intervento stesso indipendentemente dal suo esito».
E poi c’è il fattore stress: «Sicuramente il lavoro più difficile è quello della nostra centrale operativa. Le risposte telefoniche, istruire un utente su cosa fare, quali meccanismi adottare per risolvere un problema, è la componente più difficoltosa, perché noi non vediamo l’utente, o meglio, lo possiamo vedere tramite una videochiamata, ma non siamo presenti, quindi dobbiamo riuscire a dare le istruzioni corrette affinché le condizioni del paziente non degenerino prima dell’arrivo dell’ambulanza. È fondamentale, cioè, far capire al cittadino che se lui interviene possiamo salvare vite umane», spiega ancora Chies.
Il ruolo dell’utente Spesso non lo sa, ma l’utente gioca un ruolo fondamentale nella riuscita o meno di un intervento.
Che consiglio possiamo dargli? «Il primo è quello di mantenere la calma, chi risponde è un operatore che ha notevole esperienza nella gestione di chiamate di primo soccorso, quindi è necessario rispondere a tutte le domande che farà», sottolinea Silvia Orazio, la responsabile della centrale operativa, «la prima è se il paziente è cosciente, se vi risponde e se respira.
Dopodiché è importantissimo dire dove dobbiamo venire, la via, il numero civico e la località, in modo che l’ambulanza possa arrivare nel minor tempo possibile».
Da qualche tempo il paziente può interfacciarsi con l’operatore del Suem nella fase iniziale con una videochiamata: «L’utente riceve un link via messaggio sul telefono che deve cliccare, si apre la fotocamera e l’operatore vede in diretta quello che succede dall’altra parte e quindi dà delle indicazioni più appropriate sulle manovre di rianimazione cardiopolmonare, ma anche sull’utilizzo del defibrillatore».
Orazio spiega che con questa strumentazione è come essere a fianco del paziente e permette quindi un intervento ancora più immediato: «Prima di questa implementazione noi potevamo solamente ascoltare le voci degli utenti al telefono. Adesso li vediamo, capiamo quello che succede dall’altra parte e quindi diamo un supporto tecnico, ma anche emotivo».
Emozioni che non coinvolgono solo il paziente e l’utente, ma anche l’operatore: «È come se fossimo lì con loro e il carico emotivo è forte perché si vivono le stesse emozioni degli astanti. Il nostro ruolo in quel momento è far mantenere la calma, affinché vengano completate tutte le manovre necessarie.
È un ruolo di supporto e siamo convinti che per gli utenti sapere che l’operatore è lì con loro in tutti i sensi sia fondamentale», conclude Silvia Orazio
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