Mazzoccato: «Caro Ulderico, quei tuoi consigli come una laurea. Poi fummo amici»
Lo scrittore trevigiano rievoca la figura del sociologo Bernardi da poco scomparso e il rapporto di vicinanza intellettuale che li ha accomunati per anni

TREVISO. “Sai qual è il dramma di questi anni di fine secolo? , mi chiese un giorno Ulderico Bernardi. Alla globalizzazione del dato economico non ha corrisposto una globalizzazione dei diritti umani. È lì, in quel drammatico intervallo, che dobbiamo lavorare”. Bernardi parlava di uomini di buona volontà. Era depositario di un umanesimo sofferto e partecipato. Consapevole, aperto e disponibile. Un filosofo con una visone complessiva del mondo. Ha voluto che leggessi le sue ultime cose (raccolte soprattutto in “Treviso, o cara…”).
«il suo segreto»
Il suo segreto, la sua forza: partire dal microcosmo e allargare lo sguardo al mondo. Meditava sui fenomeni migratori e analizzava i luoghi da cui i migranti partivano, i loro approdi, le società nuove che fondavano, la loro evoluzione. Mi serve (oggi avverto come una amputazione la sua mancanza), ricordare come è entrato nella mia vita e come vi abbia profondamente influito.
A cavallo tra anni 70 e 80, RaiRadio2 aveva una fascia, dopo le 6 di mattina, di un’ora in cui faceva parlare a ruota libera uno scrittore. Fu in tal modo, con la radiosveglia, che conobbi la sua voce pacata, con una nota di incombente ironia.
Parole colte e semplici, il talento di divulgare cose importanti usando materiale linguistico povero. Bernardi parlò di un suo libro che mi è diventato una sorta di bibbia, l’Abecedario de villani. Sentivo maturare la chiamata a raccontare storie e sapevo che solo del mondo contadino veneto avrei potuto narrare.
Ulderico accese la luce. Nacque anche per merito suo il mio primo romanzo, “Il delitto della contessa Onigo”. Poi la vita è strana, ha coincidenze imprevedibili. Fu Mario Bernardi, suo fratello, grande scrittore e consulente editoriale, ad accorgersi del valore della mia scrittura e a trovarmi un editore. Uscito il libro, Ulderico mi scrisse un biglietto che ho, con commozione, ripreso in mano in queste ore. “Un bel romanzo, Mazzocato, proprio un bel romanzo”. Io ero nessuno, lui l’intellettuale di punta amato da tutti. Detto da lui valeva una laurea. Poi fummo amici.
Noi Veneti che ci pensiamo (perché lo siamo, per vicende storiche e meccanismi sociali così bene da lui raccontati) cittadini del mondo e odiamo gli steccati e i secessionismi, ci ritroviamo tanto, tanto più poveri.
«più poveri»
Lo sono certamente io, anche nel ricordo di quanto generoso di sé e prodigo di consigli, fu durante la mia presidenza dell’Ateneo di Treviso. Una persona come lui è inarrivabile, insostituibile. Ha registrato e acutamente analizzato il mutamento sociale (semo passai dala fame ala dieta, te par che sia canbià tanto? sintetizzava sorridendo col suo rotondo dialetto opitergino che guardava a est, al vicino Friuli).
«Custode di valori»
E però si è fatto depositario e custode dei valori eterni della nostra terra. Solidarietà, accoglienza, capacità di conservare memoria senza scadere nella miopia del folklore fine a sé stesso. Dico con le sue parole: “Il senso di appartenenza non viene mai meno anche se le innovazioni tecniche, gli eventi economici e le cosiddette rivoluzioni, imprimono allo scenario sociale brusche variazioni del fondale”.
Poi, citando sant’Agostino, “il presente del passato cioè la memoria, il presente del presente cioè l’intuizione, il presente del futuro cioè l’attesa, convivono nella coscienza collettiva, dentro al flusso perenne degli eventi. Così è sempre”. Una simile visione dell’esistere ha conferito a Ulderico Bernardi una peculiare capacità di attingere al sacro e al metafisico. Dove gli riusciva di leggere il senso profondo degli accadimenti. Sempre col dubbio, mai in chiave dogmatica o per proclamare verità definitive. Sì, ci mancherà. Con la sua intelligente bonomia, col suo sapere, con la sua riflessione. —
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