Massacrò il padre all’Università Pasimeni condannato a 15 anni

L’ultimo domicilio risulta in un paese della Bassa Padovana dove, già qualche anno fa, aveva ottenuto di scontare il residuo della pena in detenzione domiciliare per poter frequentare la facoltà di...
Di Cristina Genesin

L’ultimo domicilio risulta in un paese della Bassa Padovana dove, già qualche anno fa, aveva ottenuto di scontare il residuo della pena in detenzione domiciliare per poter frequentare la facoltà di farmacia. Una pena che ormai sta per diventare un ricordo per Paolo Pasimeni, padovano, oggi trentacinquenne, un presente tutto da costruire e un passato da dimenticare.

È una domenica sera quel maledetto 11 febbraio del 2001. All’epoca Paolo ha solo 23 anni ed è uno studente forse un po’ svogliato, di sicuro poco appassionato di Chimica industriale, la materia che insegna il papà. Sono le 20.30 nel Centro Interchimico di via Marzolo dove il professor Luigi Pasimeni, 60 anni, ordinario, si reca a lavorare quasi tutti i santi giorni, non importa che sia festa o un dì feriale. Con lui spesso c’è il figlio. E anche quella sera non manca Paolo che deve affrontare con il genitore una discussione delicata: il padre-professore è stato avvertito da alcuni colleghi che nel suo libretto degli esami risultano delle firme contraffatte.

Luigi Pasimeni è brusco. Autoritario. A tratti offensivo. Come tante altre volte. Anzi, come sempre. Le parole sono pesanti.Paolo incassa, forse replica. La lite diventa furiosa e, d’improvviso, Luigi Pasimeni non riesce a trattenersi, colpendo il ragazzo con la borsa dei libri. Paolo, stavolta, non resta fermo con le mani in mano. Reagisce con un pugno e scaglia a terra il papà che sviene. Poi afferra uno strizzatoio lavapavimenti e lo colpisce alla testa. Lo colpisce così tante volte da fracassargli il cranio. C’è sangue dappertutto, allora trascina il corpo nel cortile e lo brucia con l’alcol, prima di tornare a casa e raccontare l’accaduto alla sorella Manuela. Sarà un segreto di breve durata: l’indomani, messo alle strette dagli investigatori che lo sospettano fin da subito, confessa tutto. E viene arrestato per omicidio volontario, falso e vilipendio di cadavere.

Il processo di primo grado davanti alla Corte d’assise di Padova ricostruisce l’inferno in cui Paolo e la sorella, orfani della mamma, vivevano nella casa paterna sostenuti dall’amore della nonna ma vessati da un padre-padrone troppo severo, esigente, freddo. E il 30 maggio 2002 la sentenza, pur riconoscendo la responsabilità del giovane, infligge una condanna a 13 anni e 6 mesi concedendo gli arresti domiciliari a casa dell’anziana nonna Fiorentina Capodieci e il riconoscimento dell’attenuante della provocazione. Scrivono i giudici nella motivazione: «Molte delle scelte educative del professor Pasimeni devono senz’altro essere considerate come fatti ingiusti... Può ben capirsi che possa aver avuto le sue idee sull’importanza dello studio... E aveva il diritto di imporre ai figli questo quadro di valori... Ma non può certo ritenersi giusto il fatto di averlo voluto inculcare in modo autoritario». La procura generale impugna quella pronuncia valutata troppo blanda.

Il 27 marzo 2003 la Corte d’assise d’appello di Venezia capovolge la prospettiva: il professor Pasimeni non era un padre-padrone, solo un padre severo, ed esclude qualsiasi provocazione della vittima al figlio. La pena viene rideterminata a 16 anni e sei mesi e il caso sarà definito nella motivazione di secondo grado: «Una tragedia dell’incomprensione e dei cuori impazziti». La difesa ricorre in Cassazione. E la drammatica vicenda viene definitivamente chiusa con la sentenza della Suprema Corte del 18 febbraio 2004 che sconta di un anno e due mesi la condanna d’appello, riducendo la pena definitiva a 15 anni e quattro mesi di carcere.

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