Margherita, il primario non ebbe colpe

La sentenza d’Appello assolve il dottor Zanardo: la bimba di 2 anni di Vedelago non morì per effetto dell’anestesia
Di Sabrina Tomè

VEDELAGO. Nessuna colpa dei medici per la morte della piccola Margherita Pattaro, la bimba di 2 anni di Vedelago, figlia dei titolari della trattoria Antica Postumia, deceduta nell’agosto 2006 dopo aver inalato gas anestetico. La sentenza della Corte d’Appello scagiona totalmente il primario di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale di Castelfranco Giorgio Zanardo, che era stato condannato in primo grado a sei mesi per omicidio colposo. Secondo i giudici lagunari la bimba non è morta per l’ostruzione delle vie aeree superiori causata dall’anestesia (come stabilito in un primo momento), ma per effetto di un broncospasmo. Che con la somministrazione del Sevorane, il farmaco fatto inalare per la sedazione, nulla avrebbe a che vedere.

A distanza di sette anni dall’accaduto, dunque, la Corte d’Appello ribalta completamente la ricostruzione di quanto successo alla piccola Margherita. E stabilisce una nuova verità, con diverse reazioni. «Fu una tragedia: lo fu per la famiglia che perse la bimba, ma anche per il medico che ce la mise tutta per salvarla», commenta ora l’avvocato Piero Pignata, avvocato di Zanardo, «La sentenza della Corte d’Appello non ci fa certo cantare vittoria, il rispetto per il dolore di quei genitori è assoluto e totale. Essa serve però a stabilire che non ci furono colpe da parte dei medici». Amara la replica di papà Giuliano Pattaro: «So io qual è la verità».

Il dramma si consumò il 23 agosto 2006 quando la bimba, che soffriva di una malformazione congenita al cranio e alla colonna vertebrale (la sindrome cerebro costo mandibiolare), venne ricoverata in day hospital all’ospedale di Castelfranco per essere sottoposta a risonanza magnetica e tac toracica in vista di un successivo intervento negli Stati Uniti. Gli esami, programmati, furono preceduti da un incontro con i genitori durante il quale il pediatra illustrò le modalità con cui intendeva agire sedando la piccola senza sottoporla a una vera e propria anestesia (per i problemi che presentava).

Margherita venne quindi portata in Pediatria e poi in Anestesia dove le fu applicata una mascherina per la somministrazione del gas anestetico Sevorane. In pochi istanti il dramma: la bimba cominciò a manifestare una «sindrome disventilatoria», in sostanza non riusciva più a respirare. Gli interventi medici successivi, dalla sospensione dell’erogazione del gas anestetico all’aspirazione del cavo orale, all’intubazione per via nasale, non riuscirono a salvarla. Margherita, entrata in ospedale alle 8.30 per esami finalizzati a un intervento che doveva migliorale la vita, morì alle 10.50. I genitori, distrutti dal dolore, chiesero alla magistratura di fare chiarezza per stabilire se il dramma poteva essere evitato. La Procura aprì un’inchiesta che si concluse con l’incriminazione del medico che segui la piccola, il primario di Anestesia Giorgio Zanardo, condannato a 6 mesi per omicidio colposo. Secondo il tribunale di Treviso c’era un nesso di causalità tra il comportamento del medico e il decesso della bimba: non solo, concluse il giudice, la sindrome disventilatoria era prevedibile (per le malformazioni della paziente), ma fu altresì attuata un’inappropriata e insufficiente condotta rianimatoria.

Ora la sentenza della Corte d’Appello che assolve il medico ribaltando la ricostruzione di quanto accaduto. A cominciare, appunto, dalla causa del decesso: non un’insufficienza respiratoria acuta causata dalla somministrazione in maschera del Sevorane che avrebbe provocato l’ipotonia dei muscoli del collo, ma appunto un broncospasmo. Quanto all’inadeguatezza dei soccorsi, secondo la Corte d’Appello, Zanardo aveva adottato farmaci e procedure corrette, con indicazioni correte «e aveva gestito adegatamente l’insorgenza delle complicanze». Un punto nero, in realtà, c’era: la mancata predisposizione di un kit d’emergenza che prevedesse l’intervento con fibroscopio e tracheotomia. Ma anche qualora questo fosse avvenuto, sostengono i giudici dell’Appello nelle motivazioni della sentenza, non è possibile «affermare con elevata probabilità logica-razionale che il decesso della piccola Pattaro avrebbe potuto essere evitato».

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