Linda, la tomba della contessa riscrive il delitto

Un colpo di accetta alla testa, poi fu decapitata E la piazza commentò: «Ben copada»
Di G. Domenico Mazzocato*

di G. Domenico Mazzocato*

11 marzo 1903, villa Onigo, due passi dal centro di Treviso, in riva al Sile: poco dopo le 16, il contadino di Trevignano Pietro Bianchet uccide la sua padrona, la contessa Zenobia Teodolinda Costanza Onigo. Bianchet aveva chiesto di tornare a casa per assistere la moglie Maria, che aveva appena partorito. Gli era stato negato. Nel gesto omicida si condensò la rabbia di un popolo vessato dalla crudeltà della Onigo, rappresentante di una classe di feudatari che il conflitto mondiale avrebbe di lì a qualche anno spazzato via. Così il cronista di allora: “Quel giorno la contessa Onigo vestiva signorilmente… Il primo colpo di scure menato improvvisamente con violenza al collo deve aver prodotto la ferita minore, ma bastante a impedire che la vittima emettesse qualsiasi grido… Qua e là intorno al cadavere erano sparse delle viole mammole recise”. Probabilmente lo stesso cronista che colse sulla bocca di un sensale di cavalli, al caffè della Stella (la zona dell’attuale trevisana Piazza Borsa) una sintesi fulminante “Mal morta ma ben copada”. 12 marzo 1904, un anno dopo: la corte di Assise di Venezia emette la sua sentenza. Blanda. Il presidente, Vittorio Vanzetti, e la giuria dovettero decidere se applicare rigorosamente la legge o tenere conto delle condizioni di miseria e sfruttamento in cui il delitto aveva messo radici.

27 novembre 1907: muore Caterina Jaquillard, madre di Linda. Il testamento è di fatto l’atto costitutivo delle Opere Pie di Pederobba, su cui fu riversato l’intero patrimonio familiare. A me è capitato di raccontare quei fatti nel mio primo romanzo, Il delitto della contessa Onigo. La memoria si riaccende oggi grazie alla lungimiranza dell’architetto Fiorenzo Bernardi, noto restauratore, e degli amministratori delle Opere Pie. Il restauro del tempietto che, nel giardino delle Opere Pie ospita le spoglie mortali di Linda, di suo padre Guglielmo, di Caterina, ha chiamato una riesumazione delle salme. Ne viene riscritta la vicenda.

1) Linda non è stata sepolta con il cavallo che tanto amava. Era leggenda e si sapeva, ovvio. I vecchi di Pederobba raccontavano a filò che, durante i pleniluni, Lina cavalca ancora, in sella al suo destriero, sui pendii e nelle vallate che circondano Pederobba.

2) Guglielmo è davvero sepolto lì, non a Milano come si diceva. L’ultimo Onigo aveva combattuto contro l’Austria a Cornuda nel 1848, subendo l’esilio in Piemonte e la confisca dei beni. Era morto nel 1866 senza gioire del reintegro nei suoi possessi.

3) È sepolta lì anche Linda. La cosa non era così pacifica. Si era detto che era stata inumata in una chiesa dei dintorni per evitare le vendette popolari contro le sue spoglie. È del resto testimoniato che, nella notte successiva all’inumazione, sulla tomba erano state messe tavole e pietre “per impedire che l’anima si alzasse verso il cielo”.

4) Il dato clamoroso riguarda le modalità dell’assassinio. Vi è concordanza tra i testimoni nel dire che i colpi inferti furono due. Ma, secondo gli atti processuali, furono entrambi vibrati al collo. Emerge ora che la calotta cranica della Onigo presenta un taglio netto a partire dalla fronte, poco sopra le orbite oculari. Un colpo (il primo, presumibilmente; il contrario sembra improbabile) fu portato alla testa. La dinamica del delitto è da rivedere. Bianchet prima colpisce al capo la sua vittima, poi, quando essa è crollata, infligge la decapitazione. Al processo non furono presentati i risultati di un esame autoptico che evidentemente non era mai stato eseguito. Ci sarebbe ancora da chiarire se Linda era davvero figlia di Guglielmo che sposò Caterina quando la bambina era già avanti negli anni. Legittimò la propria figlia o diede il suo nome alla figlia di altri? Possiamo accontentarci, tuttavia, dei dubbi risolti e lasciarla dormire in pace.

* Lo scrittore Gian Domenico Mazzocato, con il suo romanzo del 1997 Il delitto della contessa Onigo, ha “riaperto” il caso Pietro Bianchet-Teodolinda Onigo. Romanzo fortunato perché ha vinto il prestigioso Gambrinus Mazzotti e perché, dalle sue pagine, è uscita anche una seguitissima pièce teatrale

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