L’hotel dei trevigiani «Vengono anche tanti imprenditori»

Luca Cobre dirige un albergo da settemila ospiti all’anno «Ci sono gruppi da Olmi, Treviso, Oderzo e Montebelluna»

La pornostar Sara Tommasi, Domenico Dolce del brand internazionale Dolce & Gabbana, l’ex calciatore e allenatore Roberto Mancini, la famiglia Benetton. E non poteva mancare il giornalista e scrittore Paolo Brosio. Sono alcuni dei settemila ospiti annuali del Medjugorje Hotel & Spa, proprietà di una nota famiglia coneglianese che preferisce l’anonimato. «Ma non siamo l’albergo dei vip, per noi i pellegrini sono tutti uguali». Parola del direttore Luca Cobre, 45 anni, originario di Vittorio Veneto, che l’hotel l’ha visto nascere tre anni fa. Uno che conosce bene l’ex Jugoslavia e che ha il polso del fenomeno Medjugorje.

Personaggi a parte, chi sono i vostri clienti?

«Lavoriamo soprattutto con il centro e il sud Italia. Essendo un albergo di livello medio-alto è più adatto ai viaggi organizzati in aereo. Per questo è più difficile attrarre clientela dal Nordest, anche se i pellegrini sono migliaia».

Sono molti i trevigiani a Medjugorje?

«Moltissimi. C’è un capogruppo di Olmi di San Biagio che con la sua associazione movimenta parecchia gente. Poi ci sono altri gruppi tra Oderzo, Treviso e Montebelluna. Siamo di sicuro sopra le tremila presenze, anche se è difficile quantificare perché c’è molto fai-da-te. Per questo si sta pensando a un volo diretto da Treviso a Mostar, magari per i professionisti che hanno poco tempo. Anche se è vero che l’esperimento di un charter da Trieste è fallito».

Cosa attira tanta gente? Cosa trovano?

«È un posto che dà qualcosa. La gente quando è a Medjugorje assume un comportamento che a casa non ha. Ci sono momenti spirituali e di preghiera che nascono spontaneamente, in modo naturale. C'è un’atmosfera positiva. E serenità».

Ospitate anche i veggenti?

«Nell’albergo c'è la cappella dove il capogruppo può proporre riflessioni e preghiere. Non organizziamo incontri con i veggenti. Cerchiamo di tenere separate le cose».

Ha mai assistito a eventi particolari?

«No, ma ho un cliente del nord Europa che è stato miracolato all’inizio degli anni Novanta. Soffriva di sla e a 40 anni ormai trascinava le gambe. È salito sul monte delle apparizioni, ha gettato le stampelle e ha iniziato a camminare. È tutto documentato. È venuto a Medjugorje 150 volte, una decina qui da noi. So per certo poi che sono successe altre cose, ma non le ho vissute personalmente».

Lei è religioso?

«Non tanto. Noi del Nordest siamo forse quelli del fare e magari trascuriamo la parte interiore, quella spirituale. È capitato anche a me. Qui a Medjugorje ho però ritrovato alcuni momenti di preghiera. La domenica, quando ho un po' più di tempo, salgo sul monte fino alla grande croce. Un’esperienza importante».

Come è arrivato a Medjugorje?

«Sono sempre stato operativo nell'ex Jugoslavia. Da piccolo ci andavo in vacanza. È un territorio che ha le sue difficoltà».

Non deve essere stato facile realizzare un albergo…

«Il piano regolatore è ancora quello di Tito. Chi gestisce il potere vuole che le cose restino così come sono. Tutto sommato ci è andata bene. Quando uno riesce a capire il territorio e parla lo stesso linguaggio, le cose si risolvono».

Come sono visti gli investitori italiani?

«Qui non si può ragionare con la testa del Nordest. Non funziona allo stesso modo. Il problema più grande è la certezza della proprietà dei terreni. Con la guerra sono stati distrutti tutti i registri immobiliari. Bisogna quindi affidarsi a persone che conoscono bene la zona. E poi il sistema bancario non esiste più e non ci sono grandi possibilità di finanziamenti europei». (f.g.)

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