L’eroina killer di Mestre alla Serena: a Treviso il deposito dell’ex profugo

Uno degli arrestati nel blitz di Mestre era ospite dell’hub di Treviso. Il prefetto: «Nella struttura nessuna operazione di polizia»
Foto Agenzia Candussi/ Mion/ Mestre, angolo tra via Monte San Michele e via Trento/ Maxi operazione anti-droga
Foto Agenzia Candussi/ Mion/ Mestre, angolo tra via Monte San Michele e via Trento/ Maxi operazione anti-droga

TREVISO. Passava anche per Treviso la rotta dell’ “eroina gialla”, la potente droga che a Mestre negli ultimi mesi potrebbe aver causato morti e overdose tra i tossicodipendenti della zona. È passata per Treviso e per il centro di accoglienza ministeriale all’ex caserma Serena nello specifico, dove fino al dicembre scorso è stato ospitato un nigeriano detto “Emma”, all’italiana, ma che in Italia non puntava ad integrarsi o costruirsi un futuro di normalità: puntava a fare soldi sulla pelle delle persone.

La rete dell’eroina . Questo è quanto racconta l’ordinanza che ha guidato il maxi blitz scattato tre giorni fa a Mestre, quello che ha portato ad emnettere ordinanza di arresto per 41 persone, tutti stranieri, la maggior parte arrivati in Italia come richiedenti asilo e poi dileguatisi. Tra questi Emma, ovvero Emmanuel Obaraye, nigeriano, 33 anni, fino al dicembre 2017 ospite della caserma Serena e poi uscito dai radar dell’accoglienza, ma non della polizia, che ha continuato e seguirne le tracce e i lavoro di gestore dei fluissi di eroina e cocaina in cui lui stesso si impegnava come ovulatore. Stando all’ordinanza, nell’inverno scorso, quando lui era accolto nell’ex caserma tra Treviso e Dosson, avrebbe stoccato lì la droga portatagli da ovulatori che nell’indagine sarebbero però anonimi. Il centro di accoglienza trevigiano secondo gli inquirenti è stato un punto di passaggio di partite di eroina e cocaina depositate dopo un viaggio negli stomaci dei rifornitori, quelli chiamati ad alimentare una rete che si allargava da Mestre – dove a aveva un centro fiorente di spaccio – a Treviso e Padova.

Gelo di prefetto e questore. Il nigeriano avrebbe fatto arrivare le partite alla Serena per poi occultarle e trasportarle altrove, ma sarebbe stato lui stesso anche spacciatore visto che l’attività di indagine lo ha visto piazzare varie dosi di eroina con altri connazionali tra le tre province venete. Ieri il prefetto e il questore di Treviso, impegnati in primis nella gestione dei controlli all’interno del grande hub ministeriale trevigiano, hanno smentito «vi siano mai state operazioni di polizia giudiziaria all’interno dell’ex caserma». Ma la procura veneziana è netta e così l’ordinanza cautelare : «giunto in Italia», scrive il Gip Marta Paccagnella sulla base delle risultanze di indagine, «lo stupefacente veniva occultato e custodito» nelle abitazioni di alcuni degli arrestati tra cui la ex caserma Serena dov’era ospitato “Emma”. Il nigeriano ha sfidato e battuto i controlli? La rete delle verifiche non è bastata a intercettare il giro di eroina che transitava nella caserma? Tutto da chiarire. Intanto, ovviamente, il caso ha infiammato il dibattito sull’ex caserma il cui gestore Gianlorenzo Marinese per Nova Facility ha elogiato l’operato degli inquirenti: «chi approfitta dell’ospitalità per altri scopi va punito, vale più questa operazione che decine di ore d’educazione».

Il deposito. La ex caserma come deposito temporaneo, non come piazza di vendita, la droga arrivava e ripartiva. Quando non entrava attraverso ovulatori di passaggio, veniva depositata fuori per essere poi recuperata. Cambia certo, ma non tanto. Non hashish e marijuana, che non sarebbe comunque meno grave, ma l’eroina che perfino i tossici consideravano pericolosa perchè «troppo forte», come hanno ammesso davanti agli inquirenti che nell’arco dell’attività hanno annotato oltre 300 cessioni dai nigeriani a tossicodipendenti.

Una macchina di soldi e morte. Il sistema era oliato e organizzatissimo, tanto che “Emma” come gli altri alfieri dell’organizzazione dovevano essere in grado di gestire e rendicontare giorno per giorno al vertice dell’organizzazione (un altro nigeriano), dosi vendute e soldi incassati. Poco importa se negli ultimi mesi l’attenzione sullo spaccio nel metrino si fosse alzata a causa della lunga serie di decessi sospetti. Il lavoro di “emma” e degli altri nigeriani coinvolti nle giro dello spaccio non guardava in faccia a nulla se non agli incassi.

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