Le mille «bare di ghiaccio»

Quando la montagna diventa una bara di ghiaccio. E' successo tante volte, altre si ripeteranno. Perchè è la storia di ogni cima che vuole una conclusione del genere. Le famiglie di chi cade in montagna se ne fanno oramai una ragione. Il dolore lo si vive, purtroppo, a distanza. E' l'Himalaya la zona montuosa che ha voluto più croci. Sulle pareti ghiacciate di diversi Ottomila sono sepolti, per sempre, migliaia di alpinisti. Anche famosi.
Come Guenther Messner che il 27 giugno del 1970 venne travolto ed ucciso sul Nanga Parbat - la montagna del destino, come viene chiamata da quelle parti - mentre assieme al fratello Reinhold stava scendendo verso il campo base. Una storia, anche e soprattutto di polemiche, che è durata 30 anni.
Reinhold, nel frattempo diventato il Re degli Ottomila, non ha mai smesso di cercare il corpo del fratello. Lo voleva trovare per una questione di grande affetto.Ma anche per rispondere alle critiche che mezzo mondo gli aveva rivolto, ovvero di aver "dimenticato" Guenther per riuscire a mettersi in salvo lui stesso. Dodici volte Reinhold è tornato sul Nanga Parbat, anche da solo in qualche occasione. Nel 2005 è riuscito nel suo intento. Ha trovato le ossa e qualche copricapo che, fatti analizzare, hanno confermato che erano proprio di Guenther. Il fratello del re degli Ottomila è rimasto comunque sepolto nel ghiaccio del Nanga Parbat. La polemica è finita. Reinhold Messner ribadisce: «L'aveva sperato a lungo ed alla fine ogni mio sforzo è stato premiato. I resti trovati sul Nanga Parbat sono proprio quelli di Guenther ed ora è giusto che riposi fra quei ghiacci e quelli nevi perenni».
Il Nanga Parbat è la tomba di ghiaccio anche di Karl Unterkircher, che è morto in un crepaccio nel luglio del 2008. Il fortissimo scalatore gardenese aveva conquistato, primo al mondo, consecutivamente l'Everest ed il K2 nella spedizione italiana voluta per celebrare i primi 50 anni della salita sul K2 della spedizione di Ardito Desio.
Voleva salire in vetta. Era assieme a due altri alpinisti altoatesini. Nel passaggio di un crepaccio la caduta nel vuoto, la morte. E lì Unterkircher è rimasto. Lo hanno cercato a lungo tramite un elicottero, altri alpinisti sono tornati sul luogo della tragedia nella speranza di individuarne le tracce rimaste. Tutto inutile.
La moglie ed i figli lo piangono ancora da Selva Gardena: «È rimasto fra le sue montagne che tanto amava. E' giusto che sia così, anche se Karl continua a mancarci tanto».
La stessa fine l'hanno fatta grandissimi alpinisti altoatesini come Hans Mutschlechner, precipitato e morto durante un'ascensione sull'Himalaya. Ma le croci sui ghiacciai perenni sono tante.
Impossibile contarle. La montagna vuol tenersi per sè chi ha avuto il coraggio di sfidarla.
Ezio Danieli
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