L'autunno di Carpaccio, da Venezia all'Istria

La presentazione della grande mostra che apre oggi a Palazzo Sarcinelli di Conegliano. Un appuntamento da non perdere
Vittore Carpaccio, San Giorgio e il drago, Venezia, Abbazia di San Giorgio Maggiore
Vittore Carpaccio, San Giorgio e il drago, Venezia, Abbazia di San Giorgio Maggiore

Nei manuali di storia dell’arte Vittore Carpaccio chiude il Quattrocento veneziano, il secolo dei Vivarini e dei Bellini, delle novità di Mantegna, di Antonello e dei pittori fiamminghi. Una polifonia di accenti che tende a dare un’identità alle figurazioni preziose della tradizione gotica. Fra tutti, Vittore Carpaccio è il narratore di storie più fiscale e più leggendario allo stesso tempo. Un maestro dell’impaginazione prospettica a largo spettro, luminosa e unitaria, fitta di particolari brulicanti eppure bloccati in un nitore analitico, di ascendenza fiamminga e in parte ferrarese, ma del tutto originale per la vastità degli scenari gremiti di figure.

Carpaccio in mostra fino al 28 giugno
Benedetto-Carpaccio-Incoronazione-della-vergine, Trieste, Museo Civico Sartorio

Solo il Canaletto saprà fare meglio con la sua ottica di precisione. Se non fosse stato che il Cinquecento era alle porte, che la potenza veneziana aveva preso a vacillare, la religione a franare e la pittura a mutare, Carpaccio avrebbe potuto raccontare ancora a lungo i suoi film in carta di vetro, dipingere le figure con lenticolare precisione e perfetta immobilità, sospese in quella che Roberto Longhi definì “suprema indifferenza epica”, ma che Augusto Gentili ha poi colmato di significati. Le vicissitudini di Venezia segnarono anche la sua biografia artistica. La tradizione critica ha sempre considerato gli ultimi quindici anni del pittore delle storie di Sant’Orsola, un lento declino, un progressivo “inaridimento creativo” che il pittore visse fuori da Venezia e dai suoi luoghi eccellenti come Palazzo Ducale (dove operò come “pittore di Stato”), le grandi Scuole devozionali e le chiese, ritirandosi in provincia e in Istria.

Ma per Giandomenico Romanelli, che cura la mostra “Carpaccio. Vittore e Benedetto da Venezia all’Istria” non andò così. L’ultima stagione di Vittore fu l’epilogo, senza più certezze e senza più illusioni, di un’inconfondibile vocazione pittorica; fu l’inventario scoperto di una sapienza recondita, profondamente segnata dal rivolgimento delle coscienze in atto. Venezia è in crisi, l’Umanesimo è in crisi, la Chiesa e il sistema del culto collegato strettamente all’arte sacra e devozionale, è scosso alle radici. Carpaccio possiede cultura filosofica e antiquaria: si ritira dalla prima linea non per insufficienza d’ispirazione ma per scelta. Ora sembra che dipingere sia per lui una forma di meditazione, aspra, dolorosa, lontana mille miglia dai nuovi astri nascenti così legati alla vita terrena, al classicismo pagano che portano i nomi di Giorgione, Tiziano, Lotto, Sebastiano del Piombo. Egli conclude la sua vicenda pittorica in una limpida e volontaria, anche se amara, inattualità. Il “Polittico di Santa Fosca”, riunito in occasione della mostra, ci mostra un tentativo di mediazione con il nuovo corso della pittura, pur sul versante più moderato e fedele al canone veneziano di Bellini e Cima da Conegliano.

Ne è prova una pittura pur sempre nitida e intagliata nella luce, affinata da qualche nota d’intenerimento cromatico ed espressivo. Ma in “San Giorgio e il drago” del 1516, Carpaccio ripristina una chiave quattrocentesca nel nitore rigido e illustrativo e nella manifesta intenzione didascalica sul tema della lotta all’infedele. Nella più celebre versione del soggetto, dipinta per la Scuola Dalmata di San Giorgio degli Schiavoni, “l’infedele” era il nemico turco; ma poi la minaccia è venuta dal cuore stesso della cristianità, dall’alleanza tra papato e impero nella Lega di Cambrai. Il terreno arido, cosparso di frammenti d’ossa e di cadaveri, si fa spettrale emblema della tragedia in corso. Ancor più temibile poteva essere la ventilata alleanza tra l’imperatore e il sultano ottomano, cui si allude nella complessa composizione “Crocefissione e apoteosi dei diecimila martiri del monte Ararat”. Il “San Paolo” del Duomo di Chioggia è una specie d’autoritratto morale, con la croce di Cristo piantata nel cuore, il volto fortemente segnato e i solidi panneggi che ne reggono la statura assisa. L’Apostolo si erge su un prato che non ha più vita, di cui rimane parvenza ma è come carbonizzato al suo interno. La tela anticipa simbolicamente una disposizione d’animo di profonda disillusione riguardo alla salvezza: opere e indulgenze nulla possono di fronte alla disfatta morale. Anche Venezia aveva i suoi Savonarola, frati infiammati che fustigavano la deriva inarrestabile della chiesa romana. In questa dimensione sofferta e riflessiva, Carpaccio si insedia, anche idealmente, in Istria, terra sensibile alle tesi luterane.

Nella “Pala di Pirano”, allestisce una sacra conversazione nella quale ogni figura è isolata e scandita da un energico contrasto modellante di luci e ombre. Nell’insieme domina un tono malinconico cui non sono esenti nemmeno gli angeli musicanti. Dipinto emblematico è l’ “Entrata del podestà Sebastiano Contarini nel Duomo di Capodistria”del 1522, dove si esalta una Venezia minore, fatta di quinte architettoniche semplici e decorose e di severi dignitari che fanno cerchio intorno alla massa dorata del podestà. Il tutto possiede una sobria maestà che sembra indicare il sito come altra-Venezia, orgogliosa e integra. Vittore muore in una data imprecisata tra il 1525 e il 1526; dei due figli, Pietro e Benedetto entrambi attivi come suoi aiuti, conosciamo opere solo del secondo, ottimo colorista che tuttavia tende a esemplificare in chiave più popolare e ingenua, gli schemi paterni. Padre e figlio si possono confrontare nelle opere del Duomo di Capodistria, presenti in mostra. Benedetto dipinse per qualche anno ancora e poi si ritirò: il suo anacronismo era ben poco gradito da un’intellighenzia critica sempre più conquistata dalle prodezze di una mimesi che superava la natura stessa, così come sapeva fare il nuovo astro Tiziano Vecellio

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