La sfida dei giovani violenti

Più di park Vittoria, più del traffico e dell’emergenza abitativa, più di qualsiasi altra questione, l’ordine pubblico legato a gruppi di giovani violenti è il tema del 2025 di Treviso

Andrea De Polo

Che bella Treviso sotto le feste. Stelle sui canali, logge incantate, scritte luminose che parlano di rispetto e accoglienza. Ma Natale a Treviso è anche una mamma che ogni giorno prende due autobus per andare all’ospedale e sedersi al capezzale del figlio di 22 anni, accoltellato da una banda in centro un giovedì come tanti, all’ora di cena. Una mamma che spera e prega finché il cuore del suo Francesco, undici giorni dopo, cessa di battere, e del ragazzo rimane solo il sogno di trasferirsi, un giorno, in campagna, per ricominciare una vita più tranquilla.

Fine anno a Treviso sono le code da Danesin, per rifornirsi in vista del cenone. Ma fine anno a Treviso è anche un ragazzo sui vent’anni, pachistano, che dopo l’ennesima rissa si tiene la felpa sullo zigomo per tamponare il sangue. Si siede nell’atrio della stazione aspettando che qualcuno lo aiuti, si nasconde il volto. Piange.

Dicembre dentro le mura di Treviso ha avuto una colonna sonora particolare: sirene. Delle ambulanze, della polizia, dei carabinieri. Ogni giorno, più volte al giorno. Gang (non sempre baby) con un salto di qualità inquietante rispetto al passato, con la morte di Francesco Favaretto a segnare un prima e un dopo. Non più zuffe tra adolescenti a favore di smartphone, con annesso reel su TikTok, fatte di spintoni e insulti, ma veri pestaggi, legati - spesso - al consumo e al traffico di stupefacenti. Lame, cocci di bottiglie, bastoni.

Più di park Vittoria, più del traffico e dell’emergenza abitativa, più di qualsiasi altra questione, l’ordine pubblico legato a gruppi di giovani violenti è il tema del 2025 di Treviso.

La soluzione è un rebus in cui entrano ricette politiche (telecamere dappertutto, “tolleranza zero”, carcere minorile), dibattiti tra genitori ed esperti («Colpa delle famiglie», «No, noi ce la mettiamo tutta ma i ragazzi sono ingestibili»), ragionamenti sociologici su seconde generazioni e banlieue di casa nostra. Rebus di soluzione difficile ma necessaria, perché l’unica risposta possibile alla morte di Francesco è «mai più». 

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