La perizia sul dna scagiona Tindaci «Il sangue del guidatore non è di Mattia»

L’esame era stato disposto dal pm Valmassoi, ma il tribunale di Venezia non l’aveva preso in considerazione
SAN VITO ALTIVOLE INCIDENTE MORTALE FOTOCRONACA san vito altivole incidente mortale
SAN VITO ALTIVOLE INCIDENTE MORTALE FOTOCRONACA san vito altivole incidente mortale

C’è una sola certezza, scientifica, sul tragico incidente di Riese di quattordici anni fa nel quale persero la vita tre ragazzi di Padova. È la perizia, disposta dalla Procura di Treviso, sulle tracce ematiche rinvenute all’interno della Ford Fiesta a bordo della quale viaggiavano cinque giovani, due dei quali sopravvissuti all’impatto. E questa stabilisce che il sangue trovato sulla cintura di sicurezza e sul sedile del conducente non apparteneva a Mattia Tindaci, colui che invece era stato indicato come il conducente da parte di Francesca Volpe, affidataria dell’auto.

l’esame del dna

Era stato il sostituto procuratore Giovanni Valmassoi a rivolgersi alla dottoressa Luciana Caenazzo del Dipartimento di Medicina legale di Padova. Il pm chiedeva che fossero acquisiti «con le modalità e tecniche ritenute opportune campioni delle tracce ematiche presenti sulla cintura di sicurezza anteriore lato guidatore del veicolo e campioni di sangue dei prossimi congiunti di Tindaci Mattia. Dica il consulente se il sangue rinvenuto sulla cintura di sicurezza appartenga a Tindaci Mattia». Le conclusioni non sembrano però lasciare spazio a dubbi: «Si afferma che dall’analisi dei profili genetici dei reperti e dei genitori di Mattia Tindaci si esclude che le due tracce biologiche rinvenute rispettivamente sulla cintura di sicurezza e sulla parte posteriore del sedile possano appartenere a Mattia Tindaci». Dunque, per il consulente della Procura, le tracce di sangue trovate sul posto del conducente escludono che lì fosse seduto Mattia, contrariamente a quanto sostenuto da Francesca Volpe che aveva invece detto di aver lasciato guidare proprio Tindaci, munito solamente di foglio rosa. Ma la discrepanza tra quanto dichiarato dalla superstite e quanto certificato dal medico legale non è stata mai considerata dai giudici. In più c’è stata anche una consulenza di parte realizzata dal dottor Adriano Tagliabracci che concluse che «le tracce rinvenute sulla cintura di sicurezza e sul sedile di guida appartengono a due soggetti di sesso maschile diversi da Mattia Tindaci; i profili genetici dei due soggetti che hanno lasciato tali tracce indicano una probabilità di 3 a 1 che siano fratelli piuttosto che non siano tra loro imparentati».

il giallo delle foto

È un agente della Polizia Stradale di Treviso a spiegare quale era la prassi quattordici anni fa. «Il fascicolo fotografico veniva impostato dal sottoscritto ma poi redatto dal capo ufficio. Era lui che sistemava l’album fotografico e definiva l’inserimento delle fotografie ritenute da lui ritenute necessarie alla ricostruzione dell’evento. Nel caso dell’incidente di Riese ricordo che i corpi erano stati estratti dal veicolo e contrassegnati con dei numeri alla posizione all’interno del veicolo». Successivamente queste foto sono sparite insieme a quelle in formato digitale. E nel documento con cui l’avvocato della famiglia Tindaci ora si oppone alla richiesta di archiviazione è allegato anche un audio registrato dal papà di Mattia nella sede della Stradale a Treviso, in cui si sente lo stesso agente dire: «Le foto c’erano, le ho viste, le ho stampate... Quando ho preso il fascicolo e ho visto che le foto non c’erano, l’allora capo dell’ufficio incidenti mi ha detto: quando ho fatto su il fascicolo, io ho sbregato tutto».

Giorgio Barbieri

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