La mamma privata della potestà scolastica va dalla Mussolini «Io riavrò mio figlio a tutti i costi»

Il caso del bimbo opitergino finisce in Parlamento
Alcuni bambini entrano in classe a Milano in una foto d'archivio. ANSA / VINCE GERACE
Alcuni bambini entrano in classe a Milano in una foto d'archivio. ANSA / VINCE GERACE

La mamma opitergina (non riveliamo il Comune di residenza) che per decisione del giudice non può più avere un colloquio con le insegnanti né andare a prendere suo figlio di 9 anni a scuola, nemmeno se sta male, ha deciso di giocare una carta importante. È andata a Roma a raccontare la sua storia ad Alessandra Mussolini, la deputata presidente della Commissione per l’Infanzia della Camera, che, inorridita, era andata a trovare in istituto il bambino conteso di Cittadella, denunciando senza mezzi termini la barbarie del caso. Così anche la vicenda del piccolo opitergino di quarta elementare affetto da sindrome di deficit di attenzione e dislessia – tolto alla potestà scolastica dei genitori dal Tribunale dei minorenni lo scorso 11 settembre, dopo un conflitto oramai insanabile con maestre e dirigenza – esce dai confini di provincia e diventa nazionale. «Devono ridarmi mio figlio: adesso è incarcerato a scuola. Altri hanno deciso che le maestre possono fare quello che vogliono, decidendo anche i mezzi di contenimento per il bambino. A gennaio il Tribunale valuterà se il problema sono io, se sono “oppositiva”, come dicono. Ma io e mio marito abbiamo sempre fatto tutto il possibile per il bambino. Siamo uniti e andremo avanti». La mamma, 35 anni, «casalinga per occuparmi del bambino», altre due figlie di 10 e 11 anni, è partita mercoledì con il marito, un operaio che corre da mattina a sera per mantenere la famiglia. «Abbiamo dormito in macchina e ieri (giovedì, ndr) abbiamo parlato con la Mussolini». Il nodo sono, secondo la donna, «i servizi sociali territoriali che non hanno una figura che li controlli». È lo Stato che si incunea nelle relazioni e nel privato, il punto. Il “pubblico” che diventa perno insinuandosi tra una madre e la scuola del figlio, tra la mamma, il papà e il figlio in ambito scolastico, in questo caso. E che, pur con intenti di tutela, svuota i genitori del loro ruolo per attribuirlo alle assistenti sociali e all’Usl («se mio figlio sta male devo chiamare le assistenti sociali» dice la mamma). Tutto è cominciato quando il bambino era in prima elementare. Il piccolo è seguito dalla Nostra Famiglia da quando aveva 2 anni. Ha una patologia fisica non evidente, e soffre di sindrome da deficit di attenzione. È vivace, incapace di stare fermo, sofferente per il fatto di non riuscire ad apprendere come i compagni. Più tardi gli verrà diagnosticata anche la dislessia. Il bambino è trattato con «farmaci potenti come il Risperidone», spiega la mamma, indicato anche per la schizofrenia. Gli viene assegnata un’insegnante di sostegno. Quando il bambino diventa aggressivo la «sua» maestra lo porta fuori dall’aula, lui non lo sopporta. Il suo isolamento cresce. Si innesca un conflitto devastante tra i genitori e le insegnanti. Il bambino arriva ad aggredire una delle maestre tirandole addosso un tubetto di colla. A scuola arrivano i carabinieri. Di lì a poco verrà trasferito in un istituto vicino, nel levarsi di scudi degli altri genitori che temono quel bimbo «difficile». Nel frattempo il giudice ha già deciso di togliere a mamma e papà ogni potere per quel che concerne la scuola. Siamo in quarta elementare. «Come si trova nel nuovo istituto? Male, piange sempre e dice che non ci vuole andare, ha perso quei pochi amici» racconta la mamma «però sono contenta di come vanno le cose al centro di Neuropsichiatria infantile di San Donà che lo segue dall’aprile del 2011. Ci sono due specialisti eccezionali (Dino Moschietto e Claudio Vio), ha recuperato un anno scolastico in pochi mesi. La dislessia è migliorata, la “Adhd” è sotto controllo. Alla prossima udienza in Tribunale me lo devono ridare».

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