La madre: proteggi i tuoi figli

Oggi a Cessalto il funerale. Tante testimonianze d’affetto. Manuel: «Papà, sei stato un grande uomo». Il dolore di Pannella. L’ultimo messaggio al fratello: «Ora è arrivato il mio momento»

A dire che la sua battaglia sarebbe finita presto è stato lui stesso, alcune settimane fa. Allora ha acceso il computer, ha aperto facebook, ed attraverso quella finestra che lo teneva collegato quotidianamente con amici, associazioni, politici, affetti, ha scritto al fratello Alberto: «È arrivato il mio momento».

È iniziata così l’ultima dolorosa battaglia di Paolo Ravasin, 53 anni, 15 passati a lottare contro la Sla e per il diritto a morire. Attorno a lui tutta la famiglia, a partire da sua madre: Maria. Anziana, vedova, ha visto morire suo figlio giorno dopo giorno senza mai perdersi d’animo e senza obiettare. Ha chiesto a Paolo solo una cosa, gli ultimi giorni: «Proteggi i tuoi figli». È a loro che è andato il pensiero della nonna che guardava il figlio spegnersi e il tempo proseguire verso un futuro tutto da definire ora che il caso Ravasin si è chiuso nella stanza della Villa delle Magnolie a Monastier.

Ieri Maria è andata a dargli un altro saluto, assieme alla famiglia. «Ho lasciato che facesse quello che credeva giusto» dice con la voce rotta, «sono felice che l’abbia fatto tra persone che l’hanno accudito e curato in maniera eccellente. Io andavo a trovarlo ogni due settimane, ma c’era un contatto quotidiano per sapere come stava ora...».

Difficile ingoiare la sofferenza anche se era annunciata. Ha poca voglia di parlare la moglie Licia e così i figli Isabel e Manuel che dieci giorni fa, quando per Paolo è iniziato il precipizio, ha postato su facebook «Nella vita ho conosciuto solo un grande uomo, a quell’uomo devo tutto, quell’uomo è mio padre».

Alberto, il fratello cui Paolo aveva affidato la difficile gestione della sua sofferenza fisica e la decisione di non essere alimentato né curato a forza, ammette: «Io speravo che mi chiedesse di portarlo in Svizzera, a morire. Speravo, per non vederlo più soffrire, ma poi è arrivato il computer, quel comunicatore simbolico che ha aperto a Paolo le porte di quel mondo che non poteva più vedere. Gli ha dato forza, lo ha spinto a lottare e resistere fino all’ultimo». Il tracollo dopo capodanno, dopo una notte di dolori che ha fatto capire a tutti che per Paolo era arrivato il bivio: da una parte la trasfusione e l’alimentazione, dall’altra la morte. A qualcuno Paolo è riuscito a dire addio attraverso la rete. Ad altri no. Sopraffatto da dolori e debilitazione. Ed è nella rete che da giorni si moltiplicano i messaggi di addio e amore. Hanno scritto per Paolo gli amici, gli infermieri e le infermiere che lo accudivano ma anche i rappresentanti delle associazioni che sostenevano la sua battaglia.

Ieri l’addolorato addio di Mina Welby, moglie di Piergiorgio Welby, volto simbolo della lotta per il diritto al rifiuto dell’accanimento terapeutico e per il diritto all'eutanasia e co-Presidente dell'Associazione Luca Coscioni a cui apparteneva anche Ravasin. «Paolo, hai terminato la tua battaglia, ora tocca a noi continuare» ha scritto su facebook Mina. «Ora riposa, ci hai preparato la strada, hai insegnato a scegliere, sei un esempio di dignità. Grazie. La tua strada è la nostra».

Ed è stata la rete dei Radicali invece a portare la drammatica notizia della morte di Paolo Ravasin a Marco Pannella, leader del movimento che ha sostenuto la battaglia di Ravasin e per questo ringraziato ufficialmente nella lettera pubblicata ieri dal sito dei Radicali Veneti dal fratello Alberto. «Sono addolorato, molto» ha detto ieri da Roma, Pannella, raggiunto al telefono, «una vicenda su cui si sarebbe tantissimo da dire», ma forse non è momento ora delle parole.

Sceglie il silenzio oggi Don Giuseppe Mazzocato, docente di teologia al seminario vescovile, il teologo che nel 2008 firmò un duro editoriale sulla Vita del popolo mettendo l’altolà alle scelte di rifiuto di cure e testamenti biologici (Paolo Ravasin aveva appena pubblicato il video del suo testamento biologico con il quale chiedeva di non essere alimentato e non avere cure in caso le sue condizioni precipitassero, ndr). «Ora non ho nulla da dire, non è momento» rispondeva ieri.

Una cosa è certa: la storia di Paolo Ravasin non finirà oggi, dopo il funerale atteso alle 15 nella chiesa di Cessalto, la città dove vive tutta la sua famiglia.

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