«Io, sopravvissuta, chiedo dignità e giustizia»

Shila ha 24 anni. Vive a Dacca, Bangladesh. E' vedova e ha una figlia di 10 anni. Ma, soprattutto, è una dei sopravvissuti all'immane tragedia del Rana Plaza, un anno fa. Lo scorso 24 aprile morirono 1.138 persone, quasi 2 mila rimasero ferite, nel crollo dell'edificio di otto piani. Rivive quella sciagura ogni giorno, nella memoria e nei fatti: travolta dalle macerie non può più muovere un braccio. Il Rana Plaza ospitava cinque imprese tessili, oltre a diversi negozi. Vi si rifornivano diversi marchi internazionali, direttamente o tramite agenti. Tra questi anche Benetton.
Oggi a partire dalle 14.30 Shila Begum sarà a Treviso, davanti al negozio del marchio della moda, in piazza Indipendenza. E' stata invitata in Italia nell'ambito della campagna mondiale Pay up! lanciata dalla Clean Clothes Campaign, per chiedere ai marchi della moda che si riforniscono nel paese di effettuare immediatamente i versamenti necessari a raggiungere i 40 milioni di dollari previsti dal Rana Plaza Donors Trust Fund.
Chiederanno a Benetton di onorare gli accordi sottoscritti subito dopo la tragedia, che prevedono ispezioni mirate sugli edifici produttivi oltre al sostegno economico ai sopravvissuti e alle famiglie delle vittime.
Shila ieri ci ha raccontato la sua storia.
Da quanto tempo lavorava al Rana Plaza?
«Da 2 anni, avevo iniziato nel 2011. Lavoravo 8 ore al giorno, più 5 di straordinario, con un solo riposo settimanale. Con me lavoravano molti minorenni: ad esempio le mie due aiutanti. Una di loro è morta nel crollo, avevano entrambe appena 15 anni».
Ci può dire cosa è accaduto un anno fa poco prima della tragedia?
«Il giorno prima tutti i lavoratori e le lavoratrici erano stati fatti evacuare per alcune grosse crepe comparse sui muri del palazzo. A quel punto nessuno voleva entrare nell’edificio. Alla fine io sono entrata. Ci hanno minacciato di lasciarci senza stipendio per un mese, cosa dovevo fare?».
Ci racconti quella giornata.
«E' accaduto pochi minuti dopo che avevo iniziato a lavorare alla mia macchina da cucire, la corrente andò via e il generatore si mise in funzione.Ho sentito una scossa e il pavimento che sprofondava. Tutti cominciarono a correre. Il soffitto venne giù. Cercai di proteggermi la testa, ma sono rimasta incastrata tra le macerie. La mia mano era bloccata e ho pensato che sarei morta. Le persone intorno a me morivano, alcuni avevano gli occhi fuori dalle orbite. C’era sangue dappertutto».
Ha perso persone a lei care?
«All’interno avevo alcuni amici che avevo conosciuto durante le ore di lavoro e ora sono morti».
Ha subito lesioni permanenti?
«Nel crollo una vena del mio braccio è stata recisa e ora non posso muoverlo come prima. Questo mi impedisce di lavorare. Inoltre la trave che mi ha schiacciato ha fatto fuoriuscire il mio utero e me lo hanno dovuto asportare. Ora non posso lavorare a causa dei danni al braccio».
Dopo questa tragedia la questione sicurezza nelle fabbriche tessili del Bangladesh è stata risolta in qualche modo o permane una situazione di pericolo?
«In Bangladesh sono moltissime le fabbriche che si trovano nelle condizioni del Rana Plaza prima del crollo. Migliaia di donne sono costrette a lavorare per salari da fame e non riescono a vivere dignitosamente insieme alle loro famiglie. I sindacati, come il NGWF, ci danno una mano, ma non basta. I marchi vengono in Bangladesh, si prendono il nostro lavoro e portano i soldi nei loro Paesi».
Perchè ha deciso di aderire a questa campagna e cosa chiede a Benetton?
«Benetton deve assumersi le sue responsabilità e garantire il mio diritto ad essere risarcita: io parlo a nome di tutte le vittime. Grazie al sostegno della Campagna Abiti Puliti oggi sono qui in Italia a portare la sofferenza di tutte le vittime del Rana Plaza. C’è un solo modo per restituirci dignità e giustizia: Benetton e tutte le imprese italiane, insieme a tutte le altre coinvolte devono pagare quello che ci spetta contribuendo al Fondo appositamente creato e gestito dall’Ilo».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso