Industriali, prove di unità per il dopo-Boccia

Domani sarà il grande giorno: a Venezia (città scelta non a caso) nascerà, col voto dell’assemblea che molti si attendono unanime, la seconda Confindustria d’Italia con oltre 3 mila imprese socie. Questa la forza di «Veneto Centro» che unirà le territoriali di Padova e Treviso. Due anni per integrare servizi e strutture, nuovo statuto e presidenza a rotazione: prima il padovano Massimo Finco, poi la trevigiana Maria Cristina Piovesana, quindi dal 2020 di nuovo un padovano «salvo diversi accordi». Ma non è finita qui. In tempi di uscite clamorose, come la recente di Luxottica dalle territoriali di Belluno e Treviso, e di faide come quella di Cesena che ora rischia l’espulsione associativa, il modello veneto non solo è ben visto da Roma ma rappresenta un nocciolo duro attorno cui aggregare altre territoriali.
Il presidente di Venezia-Rovigo Vincenzo Marinese ha già dichiarato di «guardare con interesse» a questa fusione. Da quello che ci risulta, il dialogo pur nell’estremo riserbo, è già inoltrato. Niente è sul tavolo ma non ci sarebbe da stupirsi se «Veneto Centro» si allargasse a nuove territoriali. Un disegno di massima già esiste, spiegano fonti, e punta a inglobare anche Belluno e Pordenone. Vicenza e Verona hanno infatti, secondo la Riforma Pesenti, la dimensione per poter restare “sole”. Ma se il risiko prendesse forma chi potrebbe escludere una nuova geografia confindustriale veneta oltre i confini regionali? Un’unione di forze che potrebbe agevolare, dopo anni di spaccature, il veronese Giulio Pedrollo, oggi papabile candidato a raccogliere l’eredità di Vincenzo Boccia che scade tra un anno e mezzo. Domani a Venezia saranno sul palco il presidente di Emilia Area Centro, Alberto Vacchi e Carlo Bonomi di Assolombarda. Due presenze che non passano inosservate: l’invito viene letto da molti come una mossa in vista dell’elezione del prossimo presidente di Confindustria.
Roma intanto, che chiede di razionalizzare e tagliare le strutture, vigila e asseconda ma è disposta anche a bloccare. Lo dimostra il rapido cambio di nome da «Assindustria veneta» proposto a marzo 2018 poi divenuto «Veneto Centro» su sollecitazione di viale dell’Astronomia per l’evidente assonanza con Confidustria Veneto.
Nei due mesi appena trascorsi, intanto, è andata in scena anche la distensione tra il presidente veneto Matteo Zoppas e l’asse Finco-Piovesana che, in un recente passato, ha fatto sudare all’imprenditore veneziano sia l’elezione sia il nuovo corso della Fondazione Nord Est.
Strappo ricucito, si voga ora nello stesso senso. Con un cambio del nome post fusione che accontenta tutti e sopisce ogni mal di pancia.
Nemmeno la base sociale brontola più: gli incontri pre-assemblea sono serviti a spiegare e quietare. E così il Veneto è pronto a dare una bella lezione al resto dell’Italia. Molte le situazioni di “asciugatura” del sistema confindustriale a cui abbiamo assisto negli ultimi anni: prima la Basilicata, poi il Lazio, la Toscana, quindi l’Emilia Area Centro con Bologna-Ferrara-Modena. Molte territoriali hanno integrato i servizi, altre i consigli come la Toscana. Ma di fusioni vere in una unica società se ne sono viste poche. Ora la sfida, di Padova e Treviso, è di andare oltre la somma delle due unità.
È evidente la crisi in cui versa la rappresentanza di Confindustria: ridare senso e smalto all’associazione è il vero e grande sforzo che gli associati chiederanno domani al Vega a Veneto Centro. Società che verrà ufficialmente registrata l’indomani in camera di Commercio, anche se la vera fusione avrà effetto solo a luglio 2019.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso