In carcere il broker Jelmoni

L’accusa: frode e riciclaggio. Il professionista trevigiano avrebbe aiutato la famiglia Giacomini
POLONI TREVISO UFFICIO ''REGINATO MERCANTE'' IN P. SAN FRANCESCO,1/10
POLONI TREVISO UFFICIO ''REGINATO MERCANTE'' IN P. SAN FRANCESCO,1/10

L’accusa: ha aiutato la famiglia di industriali Giacomini a portare all’estero, sottraendoli al fisco, oltre 200 milioni di euro. Alessandro Jelmoni, 45 anni, consulente finanziario trevigiano, è in carcere a Verbania. Le accuse a suo carico sono di frode fiscale e di riciclaggio. Jelmoni è rientrato dall’estero, dove vive, per costituirsi. In settimana sarà interrogato. È stato arrestato dalla polizia giudiziaria di Milano nell'ambito di un’indagine della Procura di Verbania: la vicenda ha coinvolto gli imprenditori novaresi Corrado ed Elena Giacomini della dynasty di famiglia (rubinetti e impianti idraulici) e l’ex sottosegretario alla Giustizia, Andrea Zoppini.

Soldi all’estero. Secondo gli inquirenti, attraverso la sua attività di broker e la gestione di due società lussemburghesi (Giacomini Trust e J&Be), Jelmoni avrebbe contribuito a creare un giro di fatture false, riciclaggio ed esportazione illegale di capitali. In carcere sono finiti gli stessi fratelli Corrado ed Elena Giacomini, per i quali Jelmoni ha lavorato. «Ma lo ha fatto a titolo personale» precisano in piazza San Francesco a Treviso, sede della Reginato & Mercante di cui Jelmoni è consigliere. Il presidente è suo fratello Paolo. Uno scandalo che parte da Novara e Verbania arriva dritto nel cuore della Marca. E fa rumore.

Le accuse. Per Giulia Perrotti, capo della Procura di Verbania, gli amministratori della società avrebbero realizzato, attraverso un «collaudato sistema di frode e ripulitura del denaro», un trasferimento «di ingenti somme», si stimano circa 200 milioni di euro, all’estero. Il capo di imputazione a carico di Alessandro Jelmoni fa riferimento a i reati di frode fiscale e di riciclaggio: sarebbe proprio il broker trevigiano, iscritto al registro degli italiani residenti all’estero dal 1992, a gestire il trust lussemburghese dei Giacomini, sorta di cassaforte estera nel cono d’ombra del fisco italiano. L’inchiesta è partita dall’agguato al quale Corrado Giacomini era riuscito a sottrarsi il 6 settembre scorso, quando un commando armato (tre uomini) lo aveva aspettato davanti alla sua villa sul lago d’Orta. L’indagine si è intrecciata a quella sulla faida familiare che ha coinvolto i Giacomini, con esposti di natura civile e penale presentati alla Procura di Novara dal fratello della vittima, Andrea, in cui si chiedeva di far luce su comportamenti poco lineari all’interno dell’azienda di famiglia. Nell’ambito delle indagini è stato perquisito anche l’ufficio del senatore della Lega, Enrico Montani: il sospetto degli inquirenti è che Giacomini lo abbia corrotto al fine di ottenere, a Palazzo Madama, l’approvazione di agevolazioni fiscali per il settore dei prodotti industriali. Altro nome di spicco nell’indagine è quello di Andrea Zoppini, ex sottosegretario del governo Monti che avrebbe aiutato i titolari della Giacomini Spa a realizzare la frode fiscale internazionale con una consulenza per la quale il giurista sarebbe stato ricompensato con 800 mila euro in nero su conti esteri.

La difesa. Alessandro Jelmoni è in carcere a Verbania. «È sereno» dice il suo avvocato «perché sa come sono andate le cose, e lo dirà al pm in settimana, quando sarà interrogato. Ha già fatto una dichiarazione al gip. È rientrato dall’estero e si è costituito proprio per chiarire la vicenda». Il legale di Jelmoni ha già presentato istanza di scarcerazione. Nel merito delle accuse, secondo l’avvocato, «nel trust lussemburghese quei 200 milioni di euro arrivano, tra il 2002 e il 2003, sotto forma di titoli obbligazionari di principali banche italiane. Quindi va del tutto accertata l’ipotesi che si tratti di una frode fiscale». L’altro capo di imputazione a carico di Jelmoni riguarda il reato di riciclaggio tramite la società lussemburghese J&Be che fa capo a lui, «ma non si spiega» dice il legale «come questo sia avvenuto in assenza di un’accusa di false fatturazioni».

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