In Africa i pannelli fotovoltaici dismessi arrestati due imprenditori trevigiani

Blitz del Noe, un centinaio gli indagati in tutta Italia. Il materiale destinato alla demolizione rivenduto in canali esteri



Ritiravano partite di pannelli fotovoltaici dismessi, in gran parte ancora funzionanti, da numerosi parchi solari in tutta Italia, specie nel Sud, ma anziché demolirli con il recupero dei materiali, come prevede la legge, li riciclavano commercializzandoli (con dati identificativi appositamente alterati) all'estero. Un meccanismo oliato finito al centro di un'indagine dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Perugia e terminato l’altro ieri con l’arresto di 7 persone e la notifica di 15 misure cautelari e altri 71 avvisi di garanzia. Tutte persone che, secondo le indagini, sarebbero responsabili a vario titolo di traffico illecito di rifiuti, anche pericolosi, auto-riciclaggio, contraffazione, alterazione o uso di marchi e contrassegni distintivi e altre condotte illecite. Tra gli arrestati ci sono anche due cittadini della provincia di Treviso. Si tratta di Maurizio Cecile, 67 anni, residente a Conegliano e amministratore unico dell’Ecomix, un’azienda che ha sede a Casale sul Sile, e di Abiach Abdelkhalak, 41 anni, di Crespano. Tra gli arrestati anche un padovano, Matteo Massaro, 47 anni di Piove di Sacco. L’azienda di Cecile (che in passato era stato accostato all’inchiesta sul riciclaggio del riscatto del sequestro dell’imprenditore bresciano Giuseppe Soffiantini ma poi era stato scagionato) è stata posta sotto sequestro. Sigilli anche su alcune proprietà di Abdelkhalak a Crespano.

la discarica abusiva

L’inchiesta del Noe di Perugia, coadiuvato in Veneto dai militari del Nucleo operativo ecologico di Treviso, guidati dal colonnello Massimo Soggiu, parte da lontano. E precisamente dal sequestro di un capannone a Gualdo Tadino, avvenuto a fine 2016. Nell’immobile furono trovate 300 tonnellate di rifiuti: 220 tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi e circa cento tonnellate di rifiuti speciali pericolosi contenuti in alcuni cassoni. In quell’occasione i militari avevano rinvenuto anche alcuni pannelli fotovoltaici che l’azienda, esibendo documentazione poi rivelatasi falsa, aveva dichiarato distrutti. Invece i dispositivi, ancora funzionanti, secondo quanto ricostruito, venivano riciclati con dati identificativi alterati e poi commercializzati su canali esteri africani e asiatici, in Burkina Faso, Nigeria, Marocco, Mauritania, Turchia e Siria. Parte del materiale, una volta nei paesi africani finiva addirittura in discariche abusive perché inutilizzabile.

L’escamotage

Gli approfondimenti compiuti dalla Dda Perugia hanno permesso di accertare che i pannelli presenti nell’azienda di Gualdo erano rifiuti speciali spacciati per vecchie apparecchiature elettriche ed elettroniche, grazie all’opera svolta dall’organizzazione. La legge prevede che il pannello fotovoltaico arrivato a fine vita non debba essere più utilizzato, ma demolito – in modo tale però da recuperarne parte della materia. Un circuito virtuoso, sostenuto dal Gestore Servizi Elettrici (la Spa che controlla anche il pagamento degli incentivi riconosciuti dallo Stato ai produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili, inclusi condomini e privati) ha adottato appositi regolamenti che servano a contrastare il mercato illegale di pannelli da dismettere e distruggere, con incentivi per l’acquisto di un nuovo pannello.

GUADAGNI STELLARI

Dall'indagine è emerso che gli indagati ritiravano i pannelli fotovoltaici dismessi (ma ancora funzionanti), dichiarandoli come rifiuti per il solo tempo necessario a coprire il tragitto tra il luogo in cui venivano smontati e prelevati e l'impianto di trattamento. Una volta giunti a destinazione le aziende, come ricostruito dai carabinieri, producevano delle dichiarazioni false che attestavano la loro distruzione, consegnando la documentazione ai produttori originari del rifiuto che, ignari di ciò che accadeva, riscuotevano il relativo incentivo. Nel frattempo la presunta organizzazione realizzava invece certificazioni attestanti che i pannelli erano apparecchiature tecnologicamente sorpassate ma regolarmente funzionanti, riuscendo in questo modo - sempre in base all'indagine - ad aggirare il rigido sistema di controllo. «Un meccanismo - precisa il colonnello Francesco Motta, che ha coordinato i carabinieri del Noe di Perugia - che assicurava ai presunti appartenenti all'organizzazione guadagni per il ritiro dei rifiuti, per il mancato costo che avrebbero dovuto sostenere per il loro smaltimento e quello derivante dalla vendita dei pannelli».

I sequestri

I militari hanno preventivamente sequestrato 12 società, incluse apparecchiature mobili e immobili, per un valore stimato in oltre quaranta milioni di euro. Per tutte le aziende a vario titolo coinvolte, trentotto in totale, l’autorità giudiziaria ha ipotizzato la responsabilità amministrativa degli enti.—



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