Il testamento della prof malata di Sla

Aurora Grosso ha raccontato la propria battaglia in un lettera: «Non guardate la vita scorrere»

RONCADE. All'improvviso è arrivata, cambiando, e accorciando la sua vita. Ma Aurora Grosso, professoressa di francese in pensione, ha affidato a una lettera il suo testamento a chi come lei lotta contro lo Sla, o semplicemente vede «la vita passargli accanto, e la guarda come non gli appartenesse». Una lettera, pubblicata da Roncade.it, che esorta al coraggio, e al sapere godere della vita.

Aurora Grosso da un anno e mezzo sa di avere la Sla, ha continuato a lavorare finchè ha potuto: «intanto la malattia galoppava, senza che riuscissi a rendermene conto, son passata da una a due stampelle al deambulatore, alla carrozzina con badante. Ma riuscivo a mangiare e bere anche se con fatica, e poi potevo uscire, andare al bar, bere il caffè, incontrare amici e conoscenti, e con un fil di voce ma riuscivo a rispondere». Poi una crisi, durissima da superare. «Tracheotomia per poter respirare, un buchetto nella pancia per poter mangiare, ovviamente il catetere e un ulteriore tubicino in vena per prelievi e flebo. In queste condizioni non era possibile rientrare a casa. E così, appena si é liberata una stanza, sono stata accolta nella nuova casa di soggiorno "Le Magnolie" a Monastier, dove posso affermare che il livello di vita è eccellente, nonostante la mia infermità, medici, infermieri e personale tutto a disposizione h24. E io ne ho bisogno perché da sola riesco ad usare il comunicatore ottico quello con cui sto scrivendo, per il resto non posso fare nulla».

E poi l'invito. «Ho potuto pensare e riflettere a lungo. E questo è il motivo per cui sto scrivendo. Viviamo una vita facendo progetti "quando sarò in pensione farò, andrò, comprerò, " e poi scopri che la vita è quel che ti succede mentre stai facendo altri progetti, (la frase non è mia ma me ne sono appropriata volentieri). Ho sempre pensato che non mi sarebbe piaciuto morire di morte improvvisa, avrei voluto avere del tempo a disposizione per dire quello che provo, fare quello desidero, regalare le mie cose a chi voglio. Ed eccomi accontentata: malattia rapida e inesorabile. Ma con un po' di tempo a disposizione per scrivere, poiché la parola se n'è andata troppo in fretta. Bisogna aspettare di passare attraverso questa selva oscura per dire ti voglio bene, per superare vecchi rancori, per regalare qualcosa di tuo a figli, nipoti e pronipoti? E come si fa ad andarsene senza aver dedicato qualche weekend a vedere le meraviglie che ci sono in Italia, ma noi siamo troppo stanchi, troppo presi dalle nostre faccende personali per godere di queste bellezze. Siamo strani, estranei: la vita ci scorre accanto e noi la guardiamo passare come se non ci appartenesse». (f.c.)

Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso