«Il furto? Colpa del poliziotto»: agente di polizia querela un carabiniere

TREVISO. Da una parte c’è un agente della squadra mobile di Treviso in pensione, dall’altra un ex comandante provinciale dei carabinieri. A dividerli una querela per diffamazione, depositata nei giorni scorsi in procura, che ha come oggetto il furto eccellente, avvenuto molti anni fa, nella casa di un Prefetto.
la denuncia
In base alla denuncia, quello che potrebbe diventare un caso giudiziario con protagonisti un poliziotto da una parte e un alto ufficiale dell’Arma dall’altra, ha origine da un post apparso, nel luglio scorso, sul profilo Facebook di Nicolò Gebbia in cui l’ex comandante provinciale dell’Arma si abbandona ai ricordi dei tempi in cui era al vertice del comando di via Cornarotta e svela il retroscena di un furto eccellente avvenuto nientepopodimeno che nella casa del Prefetto di Treviso di allora, Corrado Spadaccini.
Nel post, e qui sta l’inghippo, Gebbia rivela che ad organizzare il colpo che fruttò ai ladri una collezione di orologi di pregio e gioielli della moglie dell’alto funzionario dello Stato sarebbe stato “un famoso agente della questura di Treviso” di cui cita la precisa provenienza regionale (non veneta), fornendo le prime due lettere del cognome e le tre finali. Insomma, un nome facilmente individuabile, non essendo di origine locale, tanto che quel giorno l’agente della squadra mobile, sottolinea nella querela, ricevette diverse segnalazioni dai colleghi che lo avvertivano del post in questione, inducendolo così a sporgere querela per diffamazione a mezzo stampa.
il post incriminato
Nel lungo post al centro del caso giudiziario sono citate persone note. Dalla famiglia Benetton al “capo indiscusso degli zingari” A.H.. Il post incriminato parte da una provocazione dell’ufficiale dei carabinieri in pensione: dare alla famiglia Benetton la gestione del Mose.
il giallo del furto dal prefetto
Ma tra la premessa e la conclusione Gebbia, rivolgendosi ai suoi “25 lettori” di manzoniana memoria, rivela il retroscena di un vero e proprio “giallo” mai emerso prima: il presunto furto di orologi e gioielli a casa del Prefetto Spadaccini, avvenuto verso la fine degli anni Novanta. Un furto che per competenza sarebbe dovuto essere oggetto d’indagine della polizia ma che su preghiera dell’allora prefetto, sempre secondo Gebbia, coinvolse il comandante dell’Arma in persona in “indagini parallele”.
le indagini parallele
Ed è a questo punto che entrano in scena la famiglia Benetton e A.H.. Come? Lo spiega lo stesso Gebbia. «Convocai A.H., il capo indiscusso degli zingari, - scrive Gebbia nel post - che avevano la quasi titolarità di tutti i furti consumati in provincia, e gli chiesi notizie. Lui mi assicurò che il clan era estraneo al furto, per la cui consumazione, tuttavia, era certo che ci fosse stata una complicità interna. Gli chiesi se riteneva di potere recuperare la refurtiva, e subito pose una pregiudiziale: sua figlia si sposava 20 giorni dopo con il figlio del capo degli zingari olandesi. Il matrimonio si sarebbe tenuto in un grande accampamento zigano, che avrebbe visto arrivare caravan da tutta Europa. L’unico appezzamento di terreno adatto alla bisogna era quello, incolto, che si trovava a ridosso del Palabenetton, il centro sportivo della Famiglia».
il mediatore
Gebbia, in sintesi, pur di arrivare alla soluzione del caso, sostiene di aver fatto da mediatore con la famiglia Benetton per dare ad A.H. (che si era impegnato a scoprire chi avesse messo a segno il colpo in casa del Prefetto) la disponibilità del terreno in questione dove celebrare il matrimonio della figlia. Ma a nozze avvenute, A.H. si sarebbe defilato. «Fu la più grande fregatura - si legge nel post - inflittami da un confidente durante tutta la mia carriera. La refurtiva, infatti, non tornò mai indietro».
Alcuni anni più tardi Gebbia dice di aver incontrato A.H. che gli rivelò di essere stato sul punto di recuperare la preziosa refurtiva in cambio di 10 milioni presso un albergo di Vittorio Veneto. «Ma mentre si trovava seduto nel locale - scrive Gebbia - A.H. fu avvicinato dall’organizzatore del furto, un famoso agente della questura di Treviso di origine (...) il cui cognome comincia con (...) e finisce con (...). A.H. sostiene che l’agente fu telegrafico con lui: «Se tra 5 minuti non sei a 5 km da qui ti sparo». E così il furto più clamoroso degli anni Novanta nella Marca, per l’estensore del post, non venne risolto. Ma ora, di quelle parole, dovrà occuparsi la procura. —
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