Il dolore di una madre che perde la figlia di trentanove anni

Joan Didion scrive un’autobiografia dei propri lutti iscrivendosi a un genere letterario di grande successo
Di Sara Salin

É fuori dubbio il successo letterario che sta avendo il genere autobiografico intriso di dolore, morte, suicidi e matrimoni difficili. Fra i molti, spicca l'ultimo romanzo della scrittrice, giornalista e sceneggiatrice californiana Joan Didion, la cui prosa è stata da sempre giudicata una delle più belle in lingua inglese. «Blue Nights», pubblicato dal Saggiatore, è un racconto potente, capace di demolire struttura e sovrastruttura di quello che chiamiamo romanzo. Didion – che con il marito John Gregory Dunne ha costituito una delle coppie creative più note negli Usa – mette nero su bianco il proprio lutto: la figlia adottiva Quintana Roo muore nel 2006 a trentanove anni a seguito di una grave infezione polmonare iniziata tre anni prima, subito dopo la scomparsa improvvisa del padre. Un romanzo nel quale prevale l'urgenza allo stato puro. Urgenza di raccontare per dare una logica al proprio dolore. Urgenza di aggrapparsi alla bellezza per cercare di fuggire alla morte, di cui il titolo è un presagio. «Blue Nights» sono le «heure bleue» che a certe latitudini precedono e seguono il solstizio d'estate. Poche settimane di crepuscolo lungo e azzurro che sono l'opposto della morte del fulgore, ma ne sono anche l'annuncio. Portano l'estate ma ricordano che l'estate finirà. Joan Didion è anziana: sfoglia l'album dei ricordi della propria vita, fra vecchie fotografie, oggetti perduti, viaggi bellissimi, persone famose conosciute grazie al suo lavoro. Fra le righe di una scrittura di una carica emotiva straordinaria fa trapelare la paura di aver avuto probabilmente troppo, di aver perso molto di più, di non aver dato abbastanza alla figlia Quintana Roo che, fin da bambina, ha sempre manifestato il timore dell'abbandono da parte di quei genitori che l'hanno accolta e cresciuta. Didion è consapevole della propria età e quelle notti crepuscolari le annunciano che la prossima morte sarà la sua. Ha paura: perché la sua uscita di scena metterà la parola fine sui ricordi e ricordare è l'unico modo per tenere in vita le persone che ci hanno lasciati. Un diario in lutto che in patria è stato osannato, come è stato per «L'anno del pensiero magico», premiato con il National Book Award per la non fiction. Ma le critiche non sono mancate: l'Inghilterra lo ha stroncato perché frustrante, vago, privo di sostanza e perfino esibizionista. Certo, c'è da chiedersi se scrivere libri sui propri lutti, mettendoli a nudo, sia etico. La discussione rimane aperta: la scrittura garantisce l'eticità trasformando l'esperienza personale in esperienza universale?

Raccomandato se vi piace: L'anno del pensiero magico.

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