Il diario di Sartor, il contadino soldato
“La Guerra di Primo”, le memorie trovate dagli eredi e raccolte in un libro: il primo conflitto mondiale vissuto in prima linea

MONTEBELLUNA. Quando il nipote ha trovato nel granaio quei quattro quaderni da oltre un centinaio di pagine ciascuno con il racconto scritto dal nonno durante gli anni della Grande Guerra a cui aveva partecipato come attendente in sanità, ha pensato che valesse la pena di trasformare quelle memorie in un libro. Alla fine c’è riuscito e ne è nato “La guerra di Primo”, che verrà presentato domani sera alle 20.30, al Postale di Busta.
Primo Sartor era un contadino di Busta, classe 1885, andato in guerra un anno dopo che era iniziata ma tornato a casa anche un anno dopo, nel 1919. Un contadino alfabetizzato con ambizioni letterarie, perché ai suoi tempi, a Busta, provvedeva a scrivere gli annunci dei matrimoni e di altri eventi. Così quando era andato soldato e si era ritrovato attendente in sanità, aveva preso appunti sulle vicende a cui aveva assistito e, una volta tornato a casa, tra il 1919 e il 1920 aveva provveduto a dare forma a quegli appunti scrivendo in pratica le sue memorie di quegli anni in quattro quaderni trovati dopo tanti anni dal nipote Sergio Sartor. «Il nipote aveva già provato a farli pubblicare, ma non aveva trovato nessuno disposto a farlo perché richiedeva un grosso lavoro trascrivere quei quaderni», spiega Lucio De Bortoli, che ne ha curato l’edizione, «Alla fine con l’Istresco e con un contributo della Regione siamo arrivati a pubblicare quei quaderni a cui abbiamo dato il titolo di “La guerra di Primo”».
Era «un contadino alfabetizzato - racconta De Bortoli - con ambizioni letterarie, che ha cercato di scrivere in toscano letterario ma dove si trovano tante cadute sintattiche, in pratica era una scrittura mista tra toscano letterario e dialetto. È un
pastiche
linguistico prodotto da una persona che tenta di scrivere come uno scrittore, non vuole scrivere in dialetto, e così si trova nel libro una lingua italiana con tutte le lacune che il grado di alfabetizzazione di Primo rendeva inevitabili. Non è stato semplice trascrivere il contenuto di quei quaderni al computer, perché ti correggeva di continuo le parole e quindi è stato necessario controllarle una per una per far sì che il testo fosse fedele, come era giusto, a quanto aveva scritto Primo».
E così il racconto si snoda sui vari fronti della guerra: dall’Isonzo al Pasubio, dal gruppo del Brenta, al Montello, per la precisione a Casa Serena a Ciano, poi sul Grappa, quindi ancora sul Montello, poi ancora sul Grappa a inseguire gli austriaci in ritirata fino a Sedico, e infine, a guerra terminata, nel Mantovano a far la guardia ai prigionieri di guerra, sempre con la Brigata Campania nel ruolo di attendente in Sanità. «Primo Sartor non ha mai sparato un colpo - spiega De Bortoli - non era in prima linea, non ha mai partecipato ad assalti, ma ha visto tutto lo scenario, ha visto i morti, i feriti, e da quel suo particolare osservatorio ha raccontato gli anni di guerra. Ne emerge un ritratto che riflette bene la mentalità del fante contadino, che non è né renitente alla guerra né interventista, ma accetta la guerra in modo fatalista come si accetta una grandinata sul prossimo raccolto.
La sua è una testimonianza che di solito non si trova, perché in genere si trovano racconti scritti da ufficiali o diari di fanti, ma ben difficilmente si trovano delle memorie organizzate come quelle di Primo Sartor. Da quanto so è finora l’unico testo del genere trovato in questa zona.
Le note di Primo Sartor vanno lette così, rinunciando a trovare in esse le categorie, letterarie o popolari e realistiche, che si cercano negli scritti di guerra».
Enzo Favero
Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso
Leggi anche
Video