Il conto a Zara: fallimento da un milione

SAN PIETRO DI FELETTO. Chiuso il procedimento penale, ora è la giustizia civile ad aver presentato il conto per il fallimento della storica azienda Marmitte Zara Spa. Gli amministratori, chiamati in causa dal curatore fallimentare Barbara Vettor, sono stati condannati al pagamento di un milione di euro in favore della Mael Spa, società che ha assunto il fallimento. Renato e Andrea Zara dovranno pagare un milione di euro, recita la sentenza del tribunale di Treviso, «per i danni derivati alla società fallita».
La curatela del fallimento di Marmitte Zara Spa aveva proposto un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, Renato e Andrea Zara, oltre che dei membri del collegio sindacale (ma solo per omesso controllo, accuse dai cui tutti sono stati assolti). Lamentava il compimento da parte degli amministratori di «una pluralità di atti preordinati e finalizzati a depauperare la società, poi fallita, a danno dei creditori e a vantaggio di altre società, facenti capo a vario titolo ai membri della famiglia Valle-Rizzo». Le accuse erano pesantissime. La vendita degli stampi e delle omologazioni a «prezzo vile» a Ap.Ta e Ape Srl: le società ne sono entrate in possesso «in forza di un mero contratto preliminare» e «non sono mai state restituite».
La stipula di un contratto di noleggio per quegli stampi da parte degli amministratori (pagati 198 mila euro), anche se erano ancora di proprietà della Marmitte Zara. La sottoscrizione di un contratto d’affitto d’azienda a condizione particolarmente svantaggiose per Marmitte Zara Spa. Poi il versamento a Ssa Engineering della somma di 1 milione 640 mila euro «senza corrispettivo alcuno». E «lo smarrimento e la distruzione della contabilità», che ha reso impossibile il recupero di crediti da parte di Marmitte Zara Spa verso terzi per un valore di 5 milioni di euro. Mael Spa, a fronte di una quantificazione del danno pari a 9 milioni 240 mila euro, ha formulato una domanda di condanna pari a un milione. Il tribunale non ha accolto la linea difensiva di Renato e Andrea Zara. In particolare secondo i giudici l’operazione di vendita degli stampi ha «rappresentato una madornale violazione dei più elementari doveri di diligenza e di prudente amministrazione. È verosimile che l’operazione perseguisse il fine illecito di drenare liquidità da Marmitte Zara Spa e di spogliarla dei propri beni produttivi a vantaggio di terzi».
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